Franco Nofori
Mombasa, 10 gennaio 2018
L’ennesima protesta degli agricoltori del Kenya che lamentano una recrudescenza nel furto degli asini utilizzati nelle loro attività, riporta in questi giorni alla ribalta la mattanza di questi animali che, continua in tutta l’Africa, malgrado le ripetute denunce dell’Organizzazione internazionale britannica “Donkey Sanctuary”. La strage è attuata sotto la spinta di pressanti esigenze farmaceutiche e alimentari del nuovo partner africano pigliatutto: la Cina, che pare non volersi più accontentare delle licenze di pesca, dello sfruttamento minerario e agricolo, degli appalti pubblici e delle strutture abitative create in Africa, in esecuzione al non lontano progetto di trasferivi gli esuberi di esseri umani che stanno facendo esplodere demograficamente la vecchia patria dei Ming. L’imperativo cinese è di accaparrare tutto ciò che si può e di accaparrarlo subito.
Anche il Kenya, fin dal 2014, ha positivamente risposo all’imperativo bisogno del partner orientale, dotandosi di moderni mattatoi a Naivasha, zona in cui vi è la più altra concentrazione di questi animali, ma il promettente business ha anche dato vita a molte iniziative di macellazione abusiva, facendo scoprire agli africani, una nuova forma di alimentazione, prima d’ora mai esplorata. Gli asini venivano infatti esclusivamente utilizzati per il trasporto di merci, di persone e per le attività agricole. Questa macellazione illegale, priva di controlli e di regole sanitarie, rischia di creare gravi problemi di salute a chi decida di farne uso.
Il consumo di questo tipo di carne, in Cina è molto diffuso. Anche la pelle viene utilizzata nella medicina tradizionale perché da essa si ricava l’ejiao, una sostanza che i cinesi ritengono afrodisiaca e per la quale non badano a spese. (https://www.africa-express.info/2017/01/26/sudafrica-la-polizia-sequestra-cinquemila-pelli-dasino-destinate-al-mercato-cinese/). Alla fine dello scorso millennio, La “Donkey Sanctuary” riferisce che gli asini presenti in Cina superavano gli 11 milioni di capi, oggi ne sono rimasti poco più di due milioni. Questo spiega il disperato bisogno del gigante asiatico di approvvigionarsi presso i mercati esterni, tra cui quello africano appare il più remissivo e consenziente. La loro domanda è di oltre 10 milioni di asini all’anno, ma per ora viene soddisfatta soltanto per un terzo. Ecco perché in varie parti dell’Africa, soprattutto in Kenya e in Zimbabwe, imprese cinesi stanno alacremente costruendo mattatoi per poter raggiungere il fabbisogno riferito.
La docilità degli asini e il loro aspetto giocondo, inducono a provare compassione per questo sterminio, ma è innegabile che per i Paesi africani, che rispondono alla domanda cinese, questo business rappresenta un vero e proprio boom economico che ha fatto quasi triplicare i prezzi della sua carne, anche perché il ciclo riproduttivo degli asini è molto lento con una gestazione che arriva ai 14 mesi. Ciò nonostante, solo in Kenya, gli asini abbattuti nell’anno appena concluso, sono arrivati a sfiorare i 150 mila capi. Un numero che continua ad aumentare. John Kariuki, titolare della “Brilliant Donkey Export” di Naivasha, esulta, “E’ tutto merito dei cinesi – dice – dobbiamo ringraziarli per la grande opportunità che hanno offerto alla nostra gente. Prima, nei mercati di bestiame, si vendevano solo mucche e capre ora tutti chiedono gli asini”.
Tuttavia, queste trionfali dichiarazioni, non riescono a nascondere una realtà che si fa di giorno in giorno più preoccupante. Gli asini in Africa sono molto usati in supporto alle attività agricole e ora, questo nuovo miraggio di facile guadagno, ha fatto si che ogni giorno, essi vengano rubati ai loro proprietari, a volte anche attraverso azioni criminali violente che provocano vittime. Inoltre, su pressione di vari organismi internazionali, alcuni Paesi africani, tra cui Tanzania, Botswana, Niger ed Etiopia; hanno dichiarato illegale la macellazione degli asini e l’Etiopia ha addirittura revocato la licenza, in un primo tempo concessa, a un’impresa cinese proprietaria di un mattatoio locale. “Si tratta di un’attività contraria alla cultura del nostro Paese”, è stata la motivazione riferita dalle autorità governative.
Questi divieti, tuttavia, hanno dato vita ad grosso commercio illegale. Gli asini vengono rubati e portati nottetempo oltre confine, verso i Paesi più permissivi, come sta già avvenendo alla frontiera tra Kenya ed Etiopia. Infine, resta realisticamente da chiedersi fino a quanto durerà la disponibilità di capi in quei Paesi, come il Kenya, che continuano a esportare verso la Cina? Tre, quattro, forse cinque anni? E poi? L’intera economia dell’ex colonia britannica dovrà concentrarsi sull’allevamento degli asini, distraendo ogni risorsa da altre necessarie iniziative? Comunque, per tanto che la tecnologia cinese si affini, non sarà mai in grado di accelerare il ciclo riproduttivo di questi simpatici animali.
Franco Nofori
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