Alberto Pierobon (con A. Zardetto) è l’autore del libro (edito da Ponte alle Grazie”) “Ho visto cose: tutti i trucchi per rubare in Italia raccontati da un manager pubblico” un saggio che spiega come funzione la narrazione di come funziona la pubblica amministrazione nel nostro Paese. Nel libro si parla anche delle aziende private impegnate anch’esse a intascare senza troppa fatica denaro pubblico: appalti truccati mazzette incassate, dati di bilancio manipolati, connivenze generalizzate. E scava anche nel torbido universo dello smaltimento dei rifiuti. Il saggio contiene più di 50 storie ed è scritto con garbo ma anche con precisione, si divora per il suo carattere avvincente e leggendo una pagina si desidera arrivare alla successiva per capire meglio qualcosa di cui tutti parlano, di cui ci sono parecchie evidenze e indizi, ma di cui esistono poche prove: la corruzione. Si parla di truffe e ruberie (e tanto altro) relative alla gestione dei rifiuti e dell’acqua, al neocolonialismo del land grabbing, all’utilizzo improprio o creativo di contributi (es. del Protocollo di Kyoto), alla compravendita malandrina o all’affittanza di comodo degli immobili, al gioco delle tre carte nel turismo, all’inarrestabile riciclaggio di denaro, ai sempreverdi traffici internazionali e molto ancora. Tutto riguarda l’Italia e gli italiani all’estero, anche in Africa.Una miniera di sapide storie, spesso non a lieto fine, proprio perché reali. Rimane però la speranza di capire e di cambiare, per consapevolizzarsi, prendere coscienzae quindi decidere di conseguenza. Alberto Pierobon ha scritto per Africa ExPress un capitolo inedito che riguarda il nostro continente in cui racconta un episodio che non è stato inserito nel volume.
Alberto Pierobon
Verona, 18 dicembre 2017
Tra viaggi di piacere e lavoro, posso dire di aver girato molto. E se anche non posso dire di conoscere tutta l’Africa, posso tranquillamente affermare di conoscere come funzionano gli hotel e le logiche di gestione dei vari hotellier che ho incontrato in tanti anni. Molti sono partiti dall’Italia senza avere in mano nulla. Giacomo, ad esempio, è partito dal garage della casa dei genitori: vendeva biglietti aerei online senza averne e quando ne aveva venduti una certa quantità, li acquistava.
Dopo un po’ ha cominciato a vendere “pacchetti” vacanza: volo e soggiorno, specialmente in località esotiche. Si è dato da fare, non senza qualche scivolone, e alla fine ha trovato “sponde” con altri connazionali per costruire un hotel in un paese africano. Ma non tutti gli hotellier possono vantare una carriera intraprendente come la sua. Al giorno d’oggi, per gestire un hotel occorrono competenze da economista.
C’è molta finanza insomma. Bisogna valutare – se non costruire – i flussi di cassa in entrata e in uscita, i costi che sono dinamici e vari, i rapporti in essere nei luoghi in cui si opera. Un tempo era facile addomesticare i notabili locali per ottenere qualche concessione; bastava una cena, un favore, una lauta mancia. Oggi la posta in gioco è più alta. Gestire un hotel in Africa comporta una serie di problemi che in altre parti del mondo sarebbe impensabile dover affrontare: continue interruzioni di energia elettrica, piscine che evaporano a vista d’occhio per il caldo e malattie tropicali. C’è anche chi ha trovato il modo di speculare su queste peculiarità, soprattutto per quanto riguarda le assicurazioni sanitarie.
Alcuni gestori non si fanno scrupoli a mettersi d’accordo con gli assicuratori locali per lucrare su ignari turisti vittime d’incidenti o malati. Lo stesso avviene anche con le cliniche private e i medici convenzionati.
Basta qualche linea di febbre o magari una brutta indigestione: il medico di turno arriva nella camera d’albergo a visitare l’ospite europeo o americano. La visita è accurata, il volto del medico accigliato. La diagnosi è quasi sempre la stessa: un cattivo virus se non la malaria. In alternativa si può scomodare qualche altra malattia africana, in ogni caso, il terrore del paziente è assicurato.
Passata la paura della malattia, la batosta. La fattura, che viene consegnata tramite l’hotel, è salatissima: si mettono in conto la visita domiciliare, le medicine, l’urgenza e altri cavilli. Per non parlare di quando è necessario il ricovero in clinica! Per una flebo si può arrivare a pagare 300 dollari, ma ho sentito casi di parcelle da oltre mille dollari, dove gran parte della spesa è per il cibo (riso in bianco o pizza) e per l’accomodamento di chi assiste il malato (solitamente su una sedia nella stessa stanza). Tutto precostituito e concordato. Anche gli hotellier hanno il loro “pacchetto” di viaggio occulto, dove si cerca di ritagliare ulteriori guadagni oltre a quelli già intascati per l’affitto della camera.
Resto fuori tutto il giorno e anche nei giorni successivi non m’interesso più della faccenda, dopotutto, in Africa (ma oramai anche da noi) è molto facile cadere preda di certe cose: cibi avariati, utensili da cucina poco igienici, insomma, la cacarella è dietro l’angolo. Ma in questa occasione, la causa dell’epidemia è di origine dolosa e la verità viene fuori nell’ultimo giorno del mio pernottamento. Si scopre, con grande imbarazzo della struttura alberghiera, che a provocare l’epidemia sono stati i cuochi, in combutta con il dottore della clinica convenzionata, che riconosce loro delle mance sostanziose. Fiumi di… denaro assicurati.
Ma al di là delle truffe più becere e pittoresche, c’è anche chi si dà da fare surfando in quel sottile limite che separa la legalità dall’illegalità, sfruttando le numerose occasioni che solo i paesi a blanda fiscalità e alto tasso di corruzione possono garantire.
Ho conosciuto Antonio un hotellier pugliese, in Africa. Ex barman, è arrivato a essere il direttore generale di numerosi alberghi all’estero. «Se non t’intendi di finanza sei fuori dal giro», mi ha detto. E difatti proprio cavalcando l’onda della finanza è riuscito a scalare la china. All’inizi della sua carriera, è riuscito a entrare come manager alberghiero in un fondo di Singapore, che investiva in hotel all’estero.
L’hanno spedito in Mozambico ad acquistare alberghi a buon mercato, sia come investimento, che come costi di gestione. Lui ha fiutato il business e si è messo in proprio, mettendo a frutto quanto appreso durante quel particolare apprendistato. Si è stabilito in Africa e ha aperto vari hotel in luoghi ad alto rendimento rispetto al normale (Mozambico, Madagascar, Tanzania, Zanzibar, ecc.).
Per prima cosa, ha stretto relazioni di favore con molti politici locali, ha capito le regole non scritte dei luoghi e come manipolare a suo favore la fiscalità annacquata da troppi passaggi. Dopodiché è letteralmente decollato. Non solo hotel di lusso, ma anche appartamenti in affitto. Antonio mi ha fatto vedere la pila di contratti nel suo archivio privato, poi, facendomi l’occhiolino: «Non è sempre necessario che il turista arrivi…». Dicendo così mi ha dato la conferma che, proprio come quelli che vendono biglietti online senza averli in mano, anche molti hotellier considerano il loro mestiere pura finanza, affidandosi alla logica della statistica e al probabilismo, orientate alla truffa. Ci si inventa molto sulla carta, riciclando denaro, tesaurizzando frutti proibiti.
Nella villa africana di Antonio passa gran parte della crema della costa: direttori d’albergo tedeschi, inglesi, italiani e africani; possidenti e proprietari terrieri, ma anche faccendieri e personaggi più ambigui. L’obiettivo di feste, cene e ricevimenti è quello di stringere relazioni, cercare affari e scambiarsi informazioni, invitando anche turisti abbagliati dallo splendore di una vita apparentemente dorata e comoda, serviti e riveriti. Lo stesso hotellier mette in vetrina il suo lusso, senza disdegnare di “coccolare” gli ospiti di riguardo con alcuni privilegi su cui è meglio sorvolare.
Allegria, spensieratezza e infradito; ciascuno parla dei propri affari, si fanno paragoni, si decide di collaborare, spartirsi un qualche tipo di torta. Si allentano i freni inibitori, si manipolano psicologicamente i partecipanti… così, qualche volta, gli ospiti tornano a casa appesantiti dall’acquisto di un terreno, una casa o un’automobile. Poi, queste fancazzate organizzate, diventano sempre l’occasione per carpire le cose altrui, le debolezze, i segreti, addirittura i desideri nascosti, insomma tanto materiale da “archiviare” e su cui lavorare pensando – prima o poi – di trarne profitto, se necessario anche con forme subdole di ricatto.
Le transazioni, anche in Africa, possono avvenire infatti in molti modi, comunque sempre molto più velocemente che in Europa.
Alberto Pierobon
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