Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 15 dicembre 2017
L’ambasciatore italiano a Nairobi è al centro di una polemica per essersi incontrato con un gruppo di escursionisti lombardi, che – si è scoperto in seguito – sono collegati a un gruppo di estrema destra.
Tre “Lupi delle vette”, Davide, Riccardo e Filippo (i cognomi non sono noti) sono arrivati a Nairobi a inizio dicembre per scalare il Monte Kanya e, subito dopo la scalata, si sono presentati in ambasciata per salutare il capo della legazione, Mauro Massoni.
L’ambasciatore, persona gentile e accogliente, in buona fede e senza sospettare i legami politici del gruppo escursionista, li ha ricevuti in residenza dove i “Lupi” gli hanno chiesto di posare per una foto ricordo con il gagliardetto del gruppo. I tre sono tornati in Italia e hanno postato l’istantanea su facebook. Si è scoperto così che i “Lupi” sono legati al gruppuscolo di estrema destra “Lealtà Azione”, a sua volta connesso con i neonazisti di CasaPound.
Ad imbattersi nel singolare post e a trarne personali conclusioni è stato il deputato del Partito Democratico Emanuele Fiano, che, insieme ad altri, ha presentato un’interrogazione parlamentare e ha avvisato la stampa. A quel punto è scoppiato il pandemonio. Il Corriere della Sera ha ripreso la vicenda con un articolo che ha cercato di scandagliare quello che è accaduto senza insinuazioni e allusioni.
Repubblica invece ha pubblicato un articolo che adombra sospetti sull’ambasciatore e getta discredito su un diplomatico che si è sempre mostrato collaborativo con la comunità italiana. Per altro nessuno dei due giornali si è peritato di sentire l’ambasciatore Massoni, che è stato sempre assai disponibile con la stampa, per conoscere il suo punto di vista.
Paolo Berizzi, l’autore dell’articolo di Repubblica, è un giornalista noto per aver ricevuto pesanti minacce da gruppi di estrema destra e per questo ha ricevuto vari attestati di solidarietà.
I diplomatici, non solo quelli italiani, non si schierano mai politicamente e i pochi che l’hanno fatto hanno pagato anche con la rimozione dall’incarico. Perché dunque un ambasciatore avrebbe dovuto posare con un gagliardetto di un gruppo fascista? Sarebbe stato assai sciocco. Insinuare quindi una possibile comunanza o, peggio, connivenza tra il nostro diplomatico e gli scalatori filonazisti è non solo improprio ma anche inesatto.
Tra l’altro chi vuol saperne di più sull’attività dei “Lupi delle vette”, va sul loro sito e apre la pagina “Chi siamo”. Non troverà però accenni particolari alla destra e anche la retorica fascista non è significativamente enfatica. Certo, c’è un po’ di esoterismo e un rifiuto della civiltà consumista, cose che potrebbero riportare agli albori del nazismo e alla fondazione della Società Thule, un’organizzazione tedesca antisemita. Una connessione che però salta agli occhi solo quando si conoscono le connessioni dei Lupi con i gruppi nazi. Nessun incitamento chiaro ed esplicito alla violenza e alla virilità di mussoliniana memoria.
Così, a prima vista, è difficile scoprire i collegamenti tra i Lupi e le organizzazioni neonaziste e solo cercando in profondità emergono le relazioni politiche improprie e ci si può rendere conto di quanto sia stato subdolo e malandrino quell’incontro.
L’operazione fatta da Repubblica è stata quindi a mio parere superficiale e artificiosa. Per accusare qualcuno di fascismo – anche in maniera non esplicita, ma comunque ammiccante – sarebbe bene avere le prove. E’ anche se quelle lanciate dal quotidiano romano non sono accuse specifiche e precise, creano – quel che è peggio –un’atmosfera negativa e incutono nel lettore la sensazione e l’idea che l’ambasciatore italiano sia un simpatizzante dell’estrema destra. Suscitano infatti spontanea la domanda: “Come fa, quindi, a rappresentare l’Italia”?
Purtroppo assistiamo a un continuo degrado della professione giornalistica. I giornali sono diventati sempre più strumenti di lotta politica e hanno abbandonato la loro funzione primaria: informare. Il sensazionalismo è presente poi in continuazione e condiziona le scelte editoriali.
Errori – è bene dirlo – li abbiamo commessi tutti e continueremo a commetterli. Basta riconoscerli: è qui che si misura l’onestà intellettuale.
Massimo A. Alberizzi
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