Speciale per Africa ExPress
Cornelia Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 12 dicembre 2017
All’inizio dello scorso luglio i presidenti Ibrahim Boubacar Keïta (Mali), Idriss Déby Itno (Ciad), Mohamed Ould Abdelaziz (Mauritania), Roch Marc Christian Kaboré (Burkina Faso) e Mahamadou Issoufou (Niger) hanno annunciato la creazione di Force G5 S, un nuovo contingente tutto africano, composto da truppe mauritane, nigeriane, maliane, burkinabé e ciadiane. Il compito della nuova forza alleata sarà quello di contrastare il terrorismo islamico nel Sahel. (http://www.africa-express.info/2017/07/04/il-g5-sahel-bamako-lancia-un-nuovo-contingente-africano-contro-jihadisti/).
Il 21 giugno scorso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità con risoluzione (la numero 2359) la creazione del nuovo corpo di sicurezza, Force conjointe du G5 Sahel (FC-G5S), forte di cinquemila militari e forze di polizia. Finalmente venerdì scorso il Palazzo di Vetro ha adottato all’unanimità un’altra risoluzione che autorizza alla Missione multidimensionale integrata delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA) di fornire supporto logistico e operativo alla nuova forza anti-jihadista.
Questa nuova risoluzione, redatta dalla Francia, è stata oggetto di ardue trattative con gli Stati Uniti, che inizialmente si sono opposti a qualsiasi coinvolgimento dell’ONU per quanto concerne la Force G5 Sahel.
Il G5 Sahel è un’operazione pilota e sin dalla sua nascita ha riscontrato parecchie difficoltà per quanto riguarda il suo finanziamento. Finora l’Unione europea ha stanziato cinquanta milioni di euro, mentre altri cinquanta milioni di dollari sono stati messi a disposizione dagli Stati che costituiscono il G5 Sahel, ossia un contributo di dieci milioni di euro per ciascun Paese. Dal canto suo la Francia partecipa con settanta vetture tattiche, materiale per le trasmissioni e protettivo, per un valore di otto milioni di euro. L’Arabia Saudita ha promesso cento milioni di dollari, mentre gli USA sosteranno il contingente con sessanta milioni di dollari. Dunque ci si avvicina piano piano alla cifra prevista di quattrocentoventitre milioni di dollari per rendere pienamente operativo il corpo anti-jihadista africano e si spera che ciò possa tradursi in fatti nel primo semestre del 2018. Il contributo dell’UE sarà finanziato grazie al Fondo fiduciario per l’Africa.
L’UE è un attore chiave nel settore della sicurezza nel Mali e in tutta la regione del Sahel con la presenza di ben tre missioni: “Politica per la sicurezza e difesa comune” (PSDC): EUCAP Sahel Niger (formazione e consigli alle forze di sicurezza del Niger per la lotta contro il terrorismo e il crimine organizzato); EUCAP (European union external action) Sahel Mali (formazione e consigli alle forze di sicurezza maliane per garantire l’ordine democratico) e la missione di formazione dell’UE nel Mali (EUTM) (sostegno e addestramento del personale di comando dell’esercito maliano). Un processo di regionalizzazione delle tre missioni è in corso.
Didier Dacko, capo di Stato maggiore delle forze armate maliane è stato nominato comandante della nuova forza congiunta, il cui quartier generale è a Sévaré, vicino alla città di Mopti, nel centro del Mali. E il 31 ottobre scorso, soldati maliani, burkinabè e nigerini hanno fatto il primo pattugliamento congiunto ai confini del Mali, Burkina Faso e Niger, zone divenute da anni instabili, perchè “frequentate” da gruppi terroristi. Le truppe del G5 Sahel sono state sostenute da un centinaio di uomini del contingente francese Barkhane, che è operativo in tutto il Sahel con quasi quattromila uomini con base a N’Djamena, la capitale del Ciad. Millesettecento uomini sono dispiegati a Gao, nel nord del Mali.
Pur di contrastare il flusso migratorio verso l’Occidente, l’UE e i singoli Stati membri sono ben disposti a mettere le mani in tasca: non si bada a spese per militarizzare i confini. Le persone scapperanno comunque, cercheranno vie sempre più pericolose pur di raggiungere altre mete; le fughe dai Paesi d’origine non sono solamente dovute al terrorismo galoppante che imperversa in tutto il Sahel, sono dovute anche ai cambiamenti climatici, al riscaldamento del globo terrestre e alla conseguente siccità, responsabile di raccolti fallimentari e che sta decimando le mandrie. Il ricco Occidente inquina, i poveri dell’Africa ne subiscono le conseguenze, un particolare che viene spesso dimenticato quando si parla di migranti.
Ora la Francia è disposta anche ad aumentare il suo budget per lo sviluppo nel Sahel del trentatré per cento. Finora tale finanziamento era nell’ordine di seicento milioni. Lo ha fatto sapere Jean-Marc Châtaigner, il nuovo inviato speciale della Francia nella regione. “Ci assicureremo che gli aiuti arriveranno direttamente alle popolazioni e dovranno essere utilizzati per l’agricoltura, l’energia elettrica, governance, sostegno all’accesso dei servizi essenziali, educazione, formazione e impiego”.
Senza capitali stranieri il Sahel non potrà risorgere. Ne è ben consapevole anche il governo del Mali, che ha organizzato la scorsa settimana un forum “Investi in Mali” per promuovere le potenzialità del Paese. Ovviamente per motivi di sicurezza molti investitori stranieri procedono con estrema cautela prima di impiantare aziende in un territorio tanto fragile. Ma forse la nuova “Force G5 Sahel” ha convinto il governo di Bamako di presentare proposte allettanti ad eventuali nuovi potenziali investitori. Peccato solo che appena terminato il meeting, sabato mattina sono stati trovati i corpi di cinque impiegati di una compagnia cinese di telecomunicazioni sul bordo di una strada vicino a Niafunke, una cittadina al centro della ex colonia francese. Secondo alcuni testimoni sarebbero stati rapiti il giorno precedente. Finora nessuno ha rivendicato questa ennesima barbaria. Potrebbe essere opera di criminali comuni o di uno dei tanti gruppi terroristi attivi nell’area. Le indagini sono ancora in corso.
Altre sei persone sono state uccise a Timbuctu durante un attacco, si presume sia opera di membri del gruppo jihadista al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI). Diverse altre sono state ferite. Secondo una fonte militare maliana, con questo ennesimo assalto l’AQMI ha intenzione di rallentare il processo di pace (http://www.africa-express.info/2015/06/24/firmato-laccordo-di-pace-mali-anche-dai-ribelli-maggioranza-tuareg/), trattato firmato nel 2015, ma che stenta a decollare. Inoltre, ha aggiunto la stessa fonte, i jihadisti stavano cercando un membro di spicco di Congrès pour la justice dans l’Azawad (CJA), movimento della tribù touareg di Kel Ansar, favorevole all’accordo.
E nel cuore di Bamako è stato praticamente raso al suolo il mercato lunedì notte da un violento incendio. Fortunatamente non si sono registrate vittime. Le indagini sulle cause sono ancora in corso, ma dai primi accertamenti sembra che il fuoco sia divampato contemporaneamente in tre punti diversi. Un duro colpo per i commercianti al dettaglio e all’economia della capitale.
La crisi del Sahel è ben lontana da poter essere risolta a breve termine. La crisi umanitaria si aggrava costantemente. Gli sfollati sono oltre cinque milioni e ventiquattro milioni necessitano di aiuti umanitari. Il tasso di natalità è tra i più elevati al mondo. Una ricchezza per un Paese, ma una domande sorge spontanea: cosa possono offrire i governi del Sahel a questi piccoli, futuri cittadini? Buona parte delle scuole sono chiuse per i continui attacchi dei sanguinari jihadisti. Il terrorismo non uccide solo le persone, mira alla desertificazione delle menti.
Cornelia I. Toelgyes
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@cotoelgyes