Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 27 novembre 2017
Il Ruanda è pronto ad accogliere trentamila migranti dalla Libia. Lo ha fatto sapere il governo di Kigali tramite il suo ministro degli esteri, Louise Mushikiwabo, dopo la pubblicazione del filmato della CNN .
Il ministro ha motivato l’offerta ruandese con queste parole: “Sembra la nostra storia, ben pochi allora si erano occupati del genocidio. Non possiamo restare in silenzio quando degli esseri umani vengono venduti all’asta come delle bestie”.
Durante il genocidio dell’ex protettorato belga, che cominciò il 6 aprile 1994, quando fu abbattuto l’aereo su cui volava il presidente hutu di allora, Juvenal Habyarimana, e durò cento giorni, furono ammazzate un milione di persone, tutsi e hutu antigovernativi.
La Mushikiwabo ha sottolineato che il suo Paese è piccolo, “ma troveremo un posto dove accoglierli”. Il ministro ha anche accennato al fatto che il suo governo è in trattative con quello israeliano per il trasferimento di richiedenti asilo presenti sul territorio israeliano.
Da diversi anni Israele è in contatto con alcuni Paesi africani per scaricare i rifugiati subsahariani richiedenti asilo che considera infiltrati. Eppure sono persone residenti da anni in territorio israeliano, molti di loro sono vittime della terribile tratta nel Sinai.
Ma il ministro ruandese ha “dimenticato” di esporre nella sua dichiarazione un piccolo particolare: il governo israeliano è pronto a versare cinquemila dollari per ogni persona che il governo dello Stato africano è pronto ad accogliere, ossia oltre diecimila persone.
I dettagli della trattativa non sono ancora stati resi noti; un portavoce del governo di Tel Aviv ha solamente fatto sapere che avrebbe dato un contributo di tremilacinquecento dollari a ciascun richiedente asilo, pronto a lasciare il Paese, oltre al biglietto aereo, per poter affittare una casa e cercare un lavoro. E la Mushikiwabo ha aggiunto: “Non vogliamo che vivano in campi per profughi, ma che possano iniziare una nuova vita nel nostro Paese”.
Attualmente sono presenti oltre ventisettemilacinquecento eritrei e settemilaottocento sudanesi in Israele. Deportazioni “volontarie”, soprattutto di eritrei e sudanesi, sono già state effettuate in passato. Le persone in questione possono scegliere tra una detenzione a tempo indeterminato oppure accettare di essere trasferiti. Recentemente la Suprema Corte dello Stato ha reso legittimo il trasferimento dei rifugiati in un Paese terzo anche senza il loro consenso.
Una decina di giorni fa il governo israeliano ha deciso di chiudere Holot, un centro di accoglienza situato nel deserto di Negev, dove moltissimi richiedenti asilo sono stati deportati negli ultimi anni. Misrad Hapnim, e Gliad Erdan, rispettivamente ministro per gli Interni il Primo e ministro per la Pubblica sicurezza il secondo, vorrebbero chiudere il centro entro marzo 2018. Da quel momento in poi tutti i richiedenti asilo che si trovano in territorio israeliano, dovranno scegliere tra detenzione indeterminata o deportazione in un Paese africano (Ruanda), con o senza il consenso dell’interessato.
Sigal Rozen di Hotline for Refugees and Migrants con sede nella capitale del Paese, ha spiegato: “Siamo in stato di allerta, vedremo cosa succederà effettivamente, ma sta di fatto che i provvedimenti che il governo intende attuare, sono immorali, nonché in violazione alle leggi israeliane e internazionali”.
La parola d’ordine della politica israeliana è ormai la seguente: “Detenzione o deportazione”; moltissimi richiedenti asilo sono in preda al panico. “Non siamo infiltrati, cerchiamo solo di vivere in pace e tranquillità in questo Paese”, hanno dichiarato i più, ma sono voci inascoltate dai politici, che non vedono l’ora di liberarsi da queste persone.
A questo proposito il primo ministro Benjamin Netanyahu in un comunicato di pochi giorni fa ha sottolineato: “La politica nei confronti degli infiltrati è giunta ormai alla terza fase, che può essere descritta come “aumentare gli allontanamenti”. Questo è reso possibile grazie ad un accordo internazionale che ho ottenuto e che consiste nell’allontanamento dei restanti quarantamila infiltrati senza il loro consenso”.
Netanyahu non ha specificato il o i Paesi nei quali dovrebbero essere trasferiti i richiedenti asilo, ma la stampa locale ha parlato come destinazione il Ruanda.
Da dicembre 2013 a giugno 2017 sono già stati “trasferiti” oltre quattromila persone tra sudanesi ed eritrei in Uganda o Ruanda, secondo un “programma volontario”, come ha specificato l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Ma lo stesso Organismo internazionale ha ammesso che è molto difficile seguire e monitorare il trasferimento di queste persone nei Paesi africani in questione.
“Come firmatario della Convenzione di Ginevra del 1951, Israele ha l’obbligo di proteggere i rifugiati e tutte le persone che necessitano protezione internazionale”, ha evidenziato Volker Turk, assistente dell’Alto commissario dell’UNHCR per la protezione.
Dal 2009 ad oggi, Israele ha riconosciuto solamente a otto eritrei e a due sudanesi lo status di rifugiato e a duecento sudanesi, provenienti dal Darfur, è stato concesso il permesso per motivi umanitari. Sono anni che il governo di Tel Aviv rende difficile la vita ai profughi con tutta una serie di leggi restrittive, come detenzioni a Holot, arresti, limitazioni di movimento nel Paese, accesso ridotto all’istruzione e al mercato del lavoro.
Ancora non sono state specificate le clausole circa il trasferimento in Paesi terzi. Qualche anno fa, proprio per la mancanza di documenti appropriati, diversi rifugiati hanno rischiato il rimpatrio forzato.
L’Uganda poi ha sempre negato una sua collaborazione con Israele per quanto riguarda il trasferimento di richiedenti asilo, eppure a settembre il quotidiano filo governativo ugandese “Sunday Vision” ha pubblicato in prima pagina: “Israel sends 1,400 refugees to Uganda” (Israele ha inviato millequattrocento rifugiati in Uganda). Nell’articolo si parla dell’intervista a dieci rifugiati, che, forti delle promesse fatte dalle autorità israeliane, avevano accettato il trasferimento, illudendosi di trovare un futuro, invece sono stati abbandonati a se stessi e perseguitati in continuazione dagli agenti di Kampala. “Ci avevano promesso di legalizzare il nostro status, e per incentivare la nostra partenza ci hanno anche dato tremilacinquecento dollari”, ha raccontato Hebreges Tayes al giornale.
Da anni si parla di accordi, mai resi pubblici, tra Uganda, Ruanda e Israele circa la vendita di armi, training militare e altre facilitazioni in cambio di rifugiati eritrei e sudanesi. Nessuna delle tre parti ha mai commentato o accettato di parlare apertamente di questo “ipotetico” mercato: rifugiati – accordo armi. Le armi israeliane, anche di seconda mano fanno, gola a tanti. Si sa, molti Stati africani sono interessati al loro acquisto, anche se il loro prezzo è elevato. Avere arsenali potenti è più importante che avere granai pieni, dare cibo alla propria gente.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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