AFRICA

L’infido trabocchetto della tassa turistica sulle case private in Kenya

Dal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 22 novembre 2017

Si tratta di una legge controversa di cui si parla da anni e che, come buona parte delle regolamentazioni locali, brilla per la sua difficoltà di lettura, per la prosa burocratese e per la confusione che è riuscita a creare in chi dovrebbe esserne interessato. Tutto questo non è un problema da poco, visto che gli inadempienti rischiano un multa di 100,000 scellini (circa 850 euro) e/o la detenzione fino a sei mesi nelle ben poco confortevoli carceri del Kenya.

Il tutto si riferisce alla legge 494 che, nel suo più recente emendamento del 4 marzo 2007, stabilisce che, oltre ad alberghi, residence e ristoranti; la licenza turistica dev’essere ottenuta anche dalle “case di proprietà privata che siano in grado di offrire ospitalità a terzi, sia a pagamento che a titolo gratuito”. Ora, sarebbe davvero sensazionale scoprire l’esistenza di abitazioni private che, almeno a livello potenziale, non siano “in grado di fornire ospitalità a terzi”. La norma precisa inoltre che l’obbligo comprende anche gli immobili detenuti in affitto. Cioè, ogni abitazione presente in Kenya, sarebbe quindi soggetta alla tassa turistica in argomento. 

Una villa privata sulla costa del Kenya

Secondo alcuni criteri di lettura della legge, la stessa si riferirebbe esclusivamente alle abitazioni presenti nelle zone turistiche del paese. Qualche altra interpretazione la riferirebbe, invece, alle sole seconde case, ma nei fatti, nessuna parte del testo riporta simili distinzioni e pertanto, almeno stando alla lettera del disposto, nessuna abitazione ne risulterebbe esente. Chi, quindi, vuole mettersi in regola dovrà versare presso, l’Ufficio Regionale del Turismo di zona, la somma di 27,000 scellini (poco più di 220 euro) entro il 31 dicembre di quest’anno e ottenere la prevista licenza, pena le sanzioni sopra descritte.

Come spiega una circolare esplicativa del ministero, lo spirito di questa legge è di proteggere l’attività del settore turistico, in quanto, ospitando gente a casa nostra, si sottrae lavoro ad alberghi e ristoranti, con negativi riflessi sull’occupazione e sui proventi governativi. Tutto sommato – e pur nelle perplessità di una norma così bizzarra – si tratta comunque di una cifra abbordabile e apparirebbe perciò ragionevole farsene carico, in modo da poter così ospitare chi ci pare, evitando ogni possibile problema. Ma è proprio in questa convinzione che risiede il seme capace di far germogliare conseguenze da incubo.

Il Ministro del Turismo Najib Balala

L’incauto proprietario o conduttore di un’abitazione che, avendo ottenuto la licenza offra tranquillamente ospitalità a chi desidera, si troverà a dover fronteggiare così tanti guai da fargli presto recriminare questa scelta. E’ tipico del sistema africano che ogni ministero, corporazione, dipartimento, emetta proprie normative del tutto incurante delle implicazioni che le stesse possono comportare nei confronti di istituzioni sorelle e questo è esattamente ciò che le autorità del dicastero turistico hanno fatto inducendo disinvoltamente in errore coloro che, in buona fede, intendono uniformarsi alle norme da loro emanate.   

L’offerta di vitto e di alloggio, cade sotto un cumulo di disposizioni che coinvolgono vari organismi governativi: La NEMA, ente preposto alla conservazione dell’ambiente e dell’igiene; La KRA, Kenya Revenue Autority, che corrisponde alla nostra Agenzia delle Entrate; L’ufficio licenze della Contea di appartenenza e infine, se l’interessato non è un cittadino keniano, il permesso di lavoro rilasciato dall’Immigrazione che gli permetta di svolgere un’attività nel paese. In sostanza, il malcapitato che ha deciso di mettersi in regola, si troverà a dover adempiere a tutte le non semplici normative emanate da ben cinque autorità governative. Adempimenti a cui la circolare esplicativa del ministero del Turismo, si guarda bene dal fare cenno. 

Questa mancata informazione non è cosa di poco conto, visto che la non osservanza della gran parte delle norme sopra descritte comporta pesanti sanzioni, oltre all’arresto, alla galera o, nel caso più fortunato, all’espulsione dal paese. A meno che, naturalmente non si ricorra al “Kitu kidogo” (qualcosa di piccolo) che di “piccolo” non ha proprio nulla e altro non è che la famigerata bustarella. Questa, data l’imperante corruzione esistente in Kenya, ci salverà certamente dal problema contingente, ma sarà molto più costosa e – soprattutto – ci condannerà a vita al sempre più esoso ricatto dei nostri “benefattori”.

Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
@Franco.Kronos1

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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