Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 23 novembre 2017
I ribelli sud sudanesi stanno reclutando giovani disoccupati in Uganda, nel distretto di Kitgum, nel nord dell’Uganda, al confine con il Sud Sudan. L’allarme è stato lanciato dal commissionario del distretto.
I soldati di Uganda People’s Defence Force (UPDF) hanno intensificato i controlli in tutta la zona, per evitare che i giovani si lascino convincere a combattere una guerra non loro; inoltre le autorità ugandesi sono preoccupate che il conflitto sud sudanese possa oltrepassare i confini ed allargarsi nell’ex protettorato britannico. All’inizio della guerra civile sud sudanese, Kampala aveva inviato un suo battaglione per appoggiare il regime di Salva Kiir, il presidente del più giovane Stato della Terra. http://www.africa-express.info/2014/01/17/luganda-manda-truppe-sud-sudan-appoggio-del-governo/. Attualmente il governo di Kampala ospita oltre un milione di sfollati sud sudanesi ed il flusso non tende a diminuire.
Il conflitto interno nel Sud Sudan è iniziato ormai quasi quattro anni fa: il presidente Salva Kiir Mayardit, dell’etnia dinka, aveva accusato il suo vice Riek Marchar, un nuer, di aver complottato contro di lui, tentando un colpo di Stato. Da allora sono iniziati i combattimenti tra le forze governative e quelle fedeli a Machar. I primi scontri si sono verificati il 15 dicembre 2013 nelle strade di Juba, la capitale del Paese, ma ben presto hanno raggiunto anche Bor e Bentiu. Vecchi rancori politici ed etnici mai risolti, non fanno che alimentare il conflitto.
Anche ieri ventisette soldati sono stati uccisi durante combattimenti tra governativi e ribelli nello Southern Liech State. Secondo fonti di Juba, la capitale del Sud Sudan, sarebbero morti ventiquattro ribelli e tre militari delle truppe regolari.
Con la fine della stagione delle piogge il conflitto è riesploso con tutta la sua violenza. Tutti i colloqui di pace finora non sono riusciti a porre fine a queste atrocità che si consumano nel Paese da quattro anni, che hanno ucciso decine di migliaia di persone e sono oltre due milioni quelli che hanno dovuto lasciare le loro case e cercare protezione in Paesi limitrofi. Un milione e più si trovano appunto in Uganda, un altro milione circa sono in Sudan, Etiopia, Repubblica centrafricana e Congo-K, mentre 1,88 milioni sono sfollati.
Secondo gli ultimi dati rilasciati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) al 31 ottobre 2017. 4,8 milioni di persone – quasi la metà dell’intera popolazione – necessita di assistenza umanitaria, tra loro molti sono in stato di necessità estrema. La siccità non ha certamente contribuito a migliorare la già precaria situazione alimentare.
Il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) prevede addirittura un peggioramento per il prossimo anno. Si stima che nel 2018 1,1 milioni di bambini sotto i cinque anni saranno soggetti a malnutrizione, trecentomila tra loro vanno incontro a malnutrizione severa/grave.
L’insicurezza impedisce ai contadini di lavorare i campi e di vendere la produzione nei mercati, dove i prezzi sono saliti alle stelle. Ovunque nel Paese milioni di persone per sopravvivere dipendono dalle Organizzazioni umanitarie, che riscontrano enormi difficoltà per la scarsa sicurezza a raggiungere i villaggi.
Kiir ha autorizzato nuovamente solo pochi giorni fa il libero accesso delle Organizzazioni umanitarie in tutto il Paese. Il suo ordine scritto, dopo mesi e mesi di tentennamenti ora è chiaro: “Libertà di movimento, senza impedimenti e ostacoli per le ONG”. Questo lasciapassare è stato rilasciato dopo un colloquio tra il presidente del Sud Sudan e Nikki Haley, ambasciatore degli Stati Uniti d’America (USA) accreditato alle Nazioni Unite (ONU). Haley ha fatto sapere che il governo di Juba rischia di perdere importanti finanziamenti e l’appoggio diplomatico degli USA nel caso non fosse dato libero accesso ovunque nel Paese alle ONG che operano nel settore umanitario.
Se si resta, si rischia di morire di fame, o di essere ammazzati, se si parte per cercare rifugio, spesso si muore ugualmente.
Anna ha appena partorito la sua bambina in un campo per profughi in Uganda. E’ sola, non sa che fine abbia fatto il marito. Durante la fuga sono stati separati. Non sa se il papà della bambina sia vivo o morto.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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