Andrea Spinelli Barrile
Roma, 17 novembre 2017
Lo Zimbabwe di Mugabe non è l’unica nazione africana che soffre il peso di un dinosauro al potere: in Africa c’è l’Eritrea e c’è l’Etiopia, c’è l’Egitto e la Mauritania, il Gabon e il Sud Sudan. E la piccola e sconosciuta Guinea Equatoriale, un regime talmente consolidato che può permettersi di ospitare l’esilio dorato dell’ex-dittatore gambiano Yahya Jammeh, che il “nuovo” Gambia vorrebbe estradato in patria per portarlo in Tribunale.
Nell’VIII libro del De vita Caesarum di Svetonio l’autore latino racconta che l’imperatore Vespasiano impose una tassa sull’urina raccolta nelle pubbliche latrine, da cui veniva ricavata l’ammoniaca necessaria alla concia delle pelli. Svetonio attribuisce all’imperatore la locuzione “Pecunia Non Olet”, letteralmente “il denaro non ha odore”, rispondendo al figlio Tito contrario a questa imposta.
Declinata in una cleptocrazia come quella al potere in Guinea Equatoriale questa locuzione non produce più entrate per le casse pubbliche dello Stato ma grandi abbuffate per l’elìte al potere: il clan di Mongomo. In Guinea non è l’urina di Vespasiano a puzzare ma il petrolio di Gabriel Mbega Obiang Lima, ministro del petrolio, signore incontrastato dell’oro nero equatoguineano e co-protagonista nell’ombra della lotta per la successione al potere di papà Teodoro Obiang Nguema Mbasogo.
Protagonista della lotta fratricida per prendere le redini del padre, leader africano più longevo ancora al potere e secondo nella classifica assoluta, dietro solo a Muammar Gheddafi, c’è sempre lui: Teodorin Nguema Obiang Mangue, vicepresidente con deleghe per la difesa e la sicurezza nazionale, che tuttavia ha una posizione sempre più debole all’interno della famiglia e del clan.
Se per anni Teodorin è stato il favorito, e incontrastato, erede al trono di Malabo, dopo la condanna nel processo francese Bien Mal Acquis le carte sono state rimescolate: la Corte parigina lo ha riconosciuto colpevole di corruzione, appropriazione indebita, riciclaggio di denaro e falso e lo ha condannato a 3 anni di carcere e 30 milioni di euro di multa con pena sospesa cui gli avvocati del vicecapo di Stato hanno già fatto ricorso in Appello. Oggi il favorito per la successione al padre non è più Teodorin ma il fratello Gabriel, fondamentalmente della stessa pasta ma caratterialmente più calcolatore e meno impulsivo.
Pochi giorni dopo la condanna di Teodorin a Parigi, il 27 ottobre scorso, si è tenuta a Cape Town il meeting Africa Oil Week, organizzata da ITE Group, cui ha partecipato Gabriel Mbega Lima, che voluto inviare un messaggio chiaro al fratello: “La Total – ha detto Gabriel riferendosi alla compagnia petrolifera francese, che in Guinea Equatoriale ha interessi miliardari – non dovrebbe subire le conseguenze del processo Bien Mal Acquis contro il vicepresidente della Repubblica e incaricato per la Difesa e la Sicurezza Nazionale, Teodoro Nguema Obiang Mangue, appena condannato dalla Corte di primo grado a Parigi a tre anni di carcere. La dichiarazione riportata da Africa Intelligence, sarebbe stata pronunciata durante una conversazione con Guy Maurice, vice-presidente di Total Africa E&P, e Charles Fernandes, project director di Total.
Parole forti che suonano come un avvertimento, non fosse altro perché la posizione ufficiale del governo di Malabo circa quella sentenza è di scontro frontale con la Francia: l’Appello, le dichiarazioni al vetriolo e persino un ricorso annunciato al Tribunale Internazionale dell’Aja, da cui probabilmente il regime si terrà bene alla larga.
Nella lotta di potere tra il Caino e l’Abele africani la compagnia petrolifera francese giocherà un ruolo fondamentale, ragion per cui proprio Teodorin, in passato, ha cercato più volte di escludere la compagnia francese dalle attività estrattive in Guinea Equatoriale: Total attende da mesi l’autorizzazione ad esplorare due giacimenti off-shore e dopo la condanna a Teodorin tutto ciò che è francese è stato messo alla berlina nel piccolo Paese africano: l’attività dei francesi “potrebbe avere dei problemi in futuro, nonostante i favori di Gabriel Mbega Obiang Lima” ,scrive Africa Intelligence.
L’infantile reazione di Teodorin alla condanna in Francia potrebbe rovinare gli affari di Gabriel e di una delle prime quattro compagnie petrolifere al mondo. Teodorin sta cercando di utilizzare tutto il proprio potere e la propria influenza per cacciare, letteralmente, la compagnia francese dalla Guinea Equatoriale e, proprio per questo, viene visto come un ostacolo per i piani ed i progetti del regime: il petrolio infatti resta oggi la principale fonte di reddito del Paese e, quindi, del clan al potere. Perdere un attore come Total significa perdere milioni, se non miliardi, di dollari e questo, sopratutto dopo la crisi petrolifera degli ultimi anni, il potere costituito non può tollerarlo.
Oggi la produzione petrolifera nel paese è gestita quasi interamente da compagnie petrolifere americane: ExxonMobil, Marathon Oil, Noble Energy, Hess le più importanti. Total lavora a singhiozzo dal 1984 e nell’agosto scorso il regime ha ingiunto alla compagnia francese il pagamento di una multa da 73 milioni di dollari: i francesi sono stati accusati di frode e di non avere versato tutte le tasse (o meglio, le mazzette) sulle estrazioni tra il 2010 e il 2012. Il ministro delle finanze Miguel Egonga (indovinate un po’ il cognome) Obiang parlò di “sospetta frode” e sulla base di questo ingiunse il pagamento.
Oggi Total attende l’autorizzazione del governo di Malabo ad esplorare tre pozzi offshore e su uno di questi, chiamato Block K, pone questioni territoriali spinose perché si trova lungo il confine meridionale marittimo con il Gabon ed è oggetto del desiderio di molte compagnie.
La posizione di Teodorin Nguema in Guinea Equatoriale è molto simile, mutatis mutandis, a quella di Grace Mugabe in Zimbabwe: tanto odiato quanto temuto da tutti, il “fratello maggiore” ripaga con la stessa moneta i suoi compatrioti. Odio e timore, che al potere si declinano con spietatezza e violenza.
Andrea Spinelli Barrile
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