Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 12 novembre 2017
Due milioni e mezzo di euro stanziati con la legge bilancio dal nostro Parlamento per il Fondo per l’Africa, destinati allo sviluppo e agli aiuti umanitari, sono stati utilizzati per la riparazione delle quattro motovedette di classe “Bigliani” dismesse dalla Guardia di finanza. Soldi che dovevano essere utilizzati per alleviare le sofferenza della popolazione sono finiti per rafforzare l’apparato militare. Lo sostiene L’ASGI (Associazione Studi Giuridici per l’Immigrazione) che ha impugnato il decreto “Fondo per l’Africa” davanti al TAR del Lazio.
Le navi erano state consegnate una prima volta ai libici tra il 2009 e il 2010, ma sono state considerevolmente danneggiate durante gli scontri del 2011. Marco Minniti, il nostro ministro degli Interni, ha restituito le quattro imbarcazioni riparate alla Guardia costiera libica nel maggio scorso. Un’ottantina di uomini di questo corpo libico, tra l’altro, è stato addestrato, nell’ambito dell’operazione Sophia di Eunavfor med, anche grazie al contributo dell’Italia. (http://www.africa-express.info/2016/10/29/al-via-laddestramento-della-guardia-costiera-libica-importante-ruolo-dellitalia/)
Secondo il decreto che regola il “Fondo per l’Africa” il finanziamento di duecento milioni di euro, erogato al ministero degli Esteri e della Cooperazione internazionale, all’inizio di febbraio di quest’anno, doveva essere utilizzati principalmente per interventi di cooperazione allo sviluppo straordinari con l’obbiettivo di aprire un nuovo dialogo e interventi nei Paesi che originano il maggior flusso migratorio verso le nostre coste, senza escludere gli Stati africani di transito, come Libia, Niger e altri.
Dunque, come sottolinea l’ASGI, lo scopo principale di questo fondo, dovrebbe essere la riapertura dei dialoghi e cercare di risolvere la crisi umanitaria che si sta consumando sotto gli occhi del mondo in Libia e non quella di armare con motovedette l’esercito libico al fine di effettuare i respingimenti in mare. Ed è questo il punto del ricorso. Secondo l’ASGI, fondi del finanziamento concesso dal nostro Parlamento con la legge di bilancio, approvata il 16 dicembre 2016, sono stati utilizzati per scopi diversi da quelli stabiliti. E secondo Giulia Crescini, avvocato dell’ASGI: “Ci sono tutte le condizioni affinché sia la Corte dei Conti, sia il Tar del Lazio, giudichino illegittimi i provvedimenti emanati”.
Ricordiamo inoltre qui il Memorandum of Understanding (MoU), siglato dal nostro presidente del Consiglio dei ministri e da Fāyez al-Sarrāj, presidente del Consiglio presidenziale (CP) della Libia, riconosciuto dall’ONU. Il MoU era stato sospeso dal Tribunale d’appello di Tripoli in via cautelativa il 23 marzo 2017 (http://www.africa-express.info/2017/03/28/pasticci-dellunione-europea-che-non-riesce-fermare-migranti-e-profughi/), per poi essere dichiarato valido dalla stessa Corte libica alla fine di agosto. Tale accordo è volto essenzialmente ad arginare il flusso migratorio verso le nostre coste ed è stato fortemente sostenuto dall’Unione Europea durante il vertice informale dei Capi di Stato e di Governo europei, tenutosi a Malta il 3 febbraio.
Come se ciò non bastasse, il capo del Viminale ha anche firmato un accordo con autorità locali libiche (http://www.africa-express.info/2017/04/09/salta-libia-laccordo-tra-italia-e-tribu-del-sud-per-il-controllo-dei-migranti/), contestato inizialmente da alcuni esponenti della nostra ex colonia, per poi essere rilanciato e approvato nuovamente il 26 agosto 2017 a Roma, incontro al quale hanno partecipato, oltre a Minniti e esponenti libici, anche il nostro ambasciatore in Libia, Giuseppe Perrone, il segretario generale della Farnesina, Elisabetta Belloni, il presidente dell’Associazione nazionale sindaci italiani (ANCI), Antonio Decaro, nonché rappresentanti dell’Unione europea (UE). Tale accordo ha scatenato in seguito una guerra tra gruppi rivali, cioè tra chi è stato pagato dall’Italia e chi no. A fare le spese di questa guerra, sono stati ovviamente i migranti. Si mormora che l’Italia abbia stanziato cinque milioni di euro ad alcuni clan libici per fermare le partenze, ma la Farnesina smentisce qualsiasi coinvolgimento.
Se in un primo momento le partenze dalla Libia sembravano ferme o quasi, grazie agli accordi bilaterali, la guerra tra i vari clan ha fatto ripartire sistematicamente decine e decine di gommoni, carichi di migranti, esposti a mille pericoli, vista l’assenza di molte Organizzazioni attive in operazioni Search and Rescue (SAR) nel Mediterraneo centrale dopo la firma del codice Minniti. In molti casi si è mobilitata la guardia costiera libica, cercando di recuperare i gommoni carichi di migranti. In più occasioni questo corpo non ha esitato di sparare contro le ONG e persino contro la nostra stessa Guardia costiera italiana, che ha contribuito all’addestramento dei libici (http://www.africa-express.info/2017/05/27/guardia-costiera-libica-addestrata-dagli-italiani-spara-su-motovedette-italiana/). La Guardia costiera di questo Paese nordafricano, pur di riportare i migranti in Libia, non ha esitato abbordaggi spavaldi nei confronti di imbarcazioni di alcune ONG, mettendo a rischio la vita dei naufraghi e quella degli equipaggi dei natanti delle ONG, mentre erano in corso operazioni di salvataggio. Da tempo la Corte penale internazionale dell’Aja ha aperto un fascicolo contro la Guardia costiera libica (http://www.africa-express.info/2017/07/02/la-tribunale-internazionale-indaga-sulla-guardia-costiera-libica-accusata-di-violenze/), eppure il nostro Paese continua ad intrattenere rapporti stretti con questo corpo, con il Paese stesso, dove i disperati hanno subito angherie, torture, violenze di tutti i generi nelle luride galere per mesi, a volte anni.
Il nostro Paese ha siglato accordi poco trasparenti e chiari, certamente non del tutto conformi al decreto del Fondo per l’Africa anche con altri Stati africani.
Ad aprile, per esempio, è stato firmato un intesa con il Niger. Per rinforzare le sue frontiere, l’Italia ha stanziato cinquanta milioni, suddivisi in diverse tranches. Il Paese sahariano è uno dei maggiori punti di transito dei migranti che cercano di raggiungere la Libia, per imbarcarsi da uno dei suoi porti verso le nostre coste. La parola d’ordine è: “Per arginare il flusso migratorio, i giovani vanno fermati alla partenza oppure durante il tragitto”. Se muoiono nel deserto, oppure in altre parti durante il lungo viaggio pieno di insidie – specie da quando i confini sono particolarmente controllati grazie agli accordi stretti con l’Italia e l’Unione Europea con i diversi governi dei Paesi di transito per arginare il flusso migratorio – non importa a nessuno, né l’UE, tanto meno l’Italia. Le rotte sono sempre più pericolose per i migranti, spesso si viaggia solo di notte, su sentieri impervi, su camion stracarichi di persone.
Per consolidare maggiormente l’intesa con il Niger, Roberta Pinotti, ministro della Difesa, ha siglato un ulteriore accordo di cooperazione militare con il suo omologo nigerino, Kalla Moutari. Non sono stati resi noti i dettagli di tale trattato, ma senz’altro rientra nella strategia di relazioni che hanno come solo obiettivo quello di fermare persone in fuga da guerre, conflitti interni, terrorismo, oppressione, fame. Insomma, invece del dialogo, del supporto in infrastrutture e la creazione di posti di lavoro, i Paesi africani ad altro rischio socio-economico e politico vengono militarizzati.
Alla fine di agosto Minniti ha invitato a Roma i suoi omologhi di Libia, Niger Ciad e Mali per fare il punto della situazione circa il controllo delle frontiere. Naturalmente l’Italia ha confermato il suo supporto per la formazione delle guardie di frontiera. Oltre ad altri vari ed eventuali, durante la riunione è emersa la necessità di un maggiore coinvolgimento dell’Alto commissariato delle Nazione unite per i rifugiati (UNHCR) e dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), per la realizzazione di centri di accoglienza in Niger e Ciad e migliorare quelli già esistenti in Libia.
Anche il partenariato tra Italia e Tunisia è stato rafforzato in quest’ultimo anno e in occasione della visita del presidente tunisino, Beji Caid Essebsi a Roma lo scorso febbraio, Alfano ha precisato: “la Tunisia esercita un ruolo chiave per la stabilità dell’intera regione mediterranea su temi centrali come il contrasto al terrorismo, il traffico illegale di esseri umani e la Libia”.
Il 9 febbraio tra il nostro ministro degli Esteri e il suo omologo tunisino, Khemaies Jhinaoui, sono state siglate una dichiarazione congiunta e altre intese che interessano vari ambiti. Tali atti sono volti ad intensificare la cooperazione tra i due Stati. Alfano ha anche confermato il sostegno del nostro Paese per quanto concerne la manutenzione delle motovedette fornite dall’Italia alla guardia costiera tunisina qualche anno fa. Il capo della Farnesina si è anche impegnato di cooperare nella fornitura di attrezzature e della formazione per il controllo delle frontiere marittime e di prendere in esame, all’occorrenza, ulteriori richieste in tale ambito, per contrastare il flusso migratorio.
Dunque da questo elenco figurano ben pochi finanziamenti volti a migliorare la vita delle popolazioni nei cosiddetti Paesi africani a rischio. La deputata del PD Lia Procopio Quartapelle, insieme ad altri colleghi ha chiesto chiarimenti sulle somme spese dal Fondo per l’Africa durante l’interrogazione parlamentare del 13 settembre scorso. A nome della Farnesina, il sottosegretario agli Esteri, Benedetto della Vedova ha esposto il seguente quadro circa il Fondo per l’Africa:
Finora sono stati spesi centoquaranta milioni di euro, così suddivisi:
il quarantotto per cento è stato devoluto per il Niger
il ventotto per cento alla Libia
l’8,5 per cento alla Tunisia
il 7 per cento al Ciad
Il resto delle somme elargite sono state destinate per progetti in Etiopia, Sudan, Senegal, Mali, Gambia, Guinea Conakry, Guinea Bissau.
Nel dettaglio: tredici milioni sono stati trasferiti all’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo per diversi progetti: Niger, tre milioni per programmi agricoli nelle zone ad alto rischio socio-economico; Sudan, un milione di euro per la realizzazione di un progetto del Fondo delle Nazioni unite per l’infanzia (UNICEF) volto alla protezione di minori; Etiopia, due milioni per i rifugiati in quattro campi profughi e altri 3,5 milioni per creare occupazione nel settore tessile; 3,5 milioni per un programma regionale in Africa occidentale (Senegal, Mali, Gambia, Guinea Conakry, Guinea Bissau e Niger), attuato dall’Alto commissariato per i Diritti umani per la protezione dei minori.
Quindici milioni sono stati destinati al partenariato UE-OIM nel Sahel, con priorità per il Niger, per assistenza ai migranti e i rimpatri volontari assistiti dei migranti in transito.
Cinquanta milioni al Niger per rafforzare il controllo delle frontiere, volto a contrastare il traffico di esseri umani.
Dieci milioni sono stati erogati per il programma di Minniti per la Libia, per un sistema integrato del controllo delle frontiere, mentre altri 2,5 milioni sono stati destinati al ministero degli Interni per altre attività nello stesso ambito (ecco i 2,5 milioni di euro per le riparazioni dei natanti della guardia costiera libica n.d.r)
Dieci milioni al Ciad per rafforzare il controllo delle frontiere e riforme in ambito della sicurezza.
Diciotto milioni all’OIM per rimpatri volontari assisti per i migranti in Libia, per l’assistenza di rifugiati in difficoltà.
Dieci milioni all’UNHCR per il miglioramento dei centri di detenzione in Libia, assistenza ai migranti e sostegno alle comunità locali.
7,5 milioni sono stati destinati all’ Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine per progetti di cooperazione giudiziaria in Africa occidentale e orientale.
L’unico degli interventi finora già approvato è il pacchetto di dodici milioni di euro riservato alla Tunisia. Per questo finanziamento non occorre la valutazione dell’Italia secondo i criteri dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e il Comitato per lo sviluppo economico (DAC). Sarà erogato prossimamente al ministero degli Interni per i progetti a sostegno delle autorità tunisine per la lotta al traffico di migranti, un maggiore controllo delle frontiere e la riparazione delle motovedette, per la formazione di agenti di polizia più efficienti e i rimpatri volontari.
Secondo gli ultimi dati forniti dall’OIM, dal 1. gennaio all’11 novembre 2017 sono giunte sulle nostre coste 114.411 persone e 2.791 hanno perso la vita durante la traversata. Non sapremo mai quanti sono morti nei lager della Libia durante la loro detenzione, o durante il viaggio per superare il continente africano.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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