AFRICA

Perché l’Occidente non vuole Raila Odinga al potere in Kenya

Dal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa,

Soprattutto per acquietare i pesanti sensi di colpa prodotti dal lungo dominio coloniale, l’Occidente non ha mai preso formali posizioni nelle contese politiche dei paesi africani, trincerandosi sempre dietro al principio della “non ingerenza”. Tuttavia le sue simpatie verso l’uno o l’altro dei candidati al potere, sono sempre apparse alquanto trasparenti, anche per il più distratto degli osservatori. Nel caso del Kenya non è azzardato concludere che il candidato alla presidenza, Raila Odinga, non gode delle simpatie occidentali.

Nato nel 1945 a Maseno, nella contea di Kisumu, la vita di Raila Odinga è fitta di eventi clamorosi e drammatici che, al di là dei consensi che possono riscuotere, hanno comunque contribuito a creargli un indiscutibile carisma. Quel carisma che, presso i suoi sostenitori, gli ha fatto attribuire il soprannome di “Baba” (padre). Sulle orme di Jaramogi Odinga, genitore altrettanto carismatico e decisamente orientato all’ideologia marxista, il giovane Raila crebbe e si formò su quei concetti, che dopo la rivoluzione russa di ottobre, contagiarono una gran parte del mondo, soprattutto là dove indigenza e sfruttamento avevano raggiunto livelli insopportabili.

Ritenendosi tradito dal primo presidente, Jomo Kenyatta che, appena al potere (primo di una lunga schiera di leader africani) abiurò all’istante l’ideologia marxista e strinse un patto con i vecchi dominatori britannici, Raila si dedicò pienamente all’instaurazione di una democrazia reale che, sia durante il governo Kenyatta, che in quello del suo successore Daniel arap Moi, si concretizzò solo nel 1992, quando finalmente il paese approdò ad un sistema multipartitico. Non si può negare che l’attività politica di Raila Odinga ebbe una parte di rilievo nel conseguire questo traguardo.  

Raila Odinga

 

Fedele all’ideologia paterna, Raila, completata l’istruzione secondaria in patria, compì gli studi superiori nella Germania Orientale che, nel patto di Varsavia, era ritenuta la nazione più asservita alla nomenclatura sovietica. Qui soggiornò per ben otto anni, laureandosi in varie discipline tecniche e assorbendo tutto ciò che si poteva assorbire delle dottrine rivoluzionarie sovietiche. In quel tempo si era nel momento più teso della guerra fredda che aveva sfiorato la tragedia con la decisione del 1962 di John Kennedy di bloccare le navi russe dirette a Cuba. L’arroganza imperialista degli Stati Uniti, così come lui dovette vederla, rafforzò una volta di più la scelta di campo del giovane Raila.

Infatti, rientrato in Kenya nel 1970, si dedicò alacremente a contrastare il regime autocratico di Moi, facendosi portavoce delle proteste popolari, contro povertà e corruzione e perseguendo l’instaurazione di un sistema realmente democratico. La sua fede marxista trovò un’ulteriore conferma quando nel 1973 diede il nome di Fidel Castro al suo primo figlio, in onore del dittatore cubano. Pur volendo apprezzare lo sforzo verso la democrazia espresso da Raila, appare però piuttosto singolare, se non del tutto contraddittorio, che nel perseguire il suo obiettivo, si ispirasse a regimi – quello sovietico e quello cubano – che della democrazia erano l’esatta negazione.

Il figlio, Fidel Castro Odinga, morì nel 2015 a soli quarantadue anni. La sua morte resta tuttora avvolta nel mistero ed è stata attribuita a molteplici cause, tra queste: l’omicidio e la micidiale assunzione di un cocktail di alcol e droga. Forse per evitare imbarazzi alla famiglia, la verità su questo decesso non fu mai completamente svelata, ma la cronaca rivela comunque che durante i suoi studi negli Stati Uniti, Fidel Odinga subì due condanne per possesso di droga e una per furto.  Questo triste evento, non può tuttavia essere in alcun modo correlato all’attività politica del padre Raila al quale, comunque la si pensi, va riconosciuta una costante coerenza con i principi da lui propugnati.

Nel 1982, per sua stessa, anche se parziale, ammissione, Raila Odinga fu accusato di essere uno dei finanziatori del fallito colpo di stato per rovesciar il regime di Daniel arap Moi. Il tentativo, promosso da alcuni reparti dell’aviazione militare e costellato da incredibili errori, fu sventato nel giro di 24 ore dalle forze lealiste. Venticinque golpisti furono impiccati, cento militari e oltre duecento civili restarono uccisi negli scontri. Raila fu arrestato e rilasciato più volte, senza mai subire un processo, durante ben nove anni.  Quando nel 1991 uscì infine di galera, per sottrarsi alla vendetta di Moi e temendo per la propria vita, si rifugiò in Norvegia dove ottenne asilo politico.

Durante l’ascesa di Raila Odinga, negli anni ’80, lo sforzo della NATO era di creare equilibri geopolitici favorevoli che contrastassero l’espansionismo sovietico. Conclusa l’era coloniale europea, restavano larghi spazi all’insediamento dell’avversario che vi si introdusse con successo, creando molte situazioni destabilizzanti per l’Occidente. L’Uganda, l’Etiopia, la Tanzania e altri paesi africani entrarono nell’orbita russa e con la sanguinosa rivolta dei mau mau, la stessa cosa fu tentata in Kenya, dove però, grazie al tempestivo ripensamento di Jomo Kenyatta, non ebbe successo. Il Kenya restò quindi un’isola filo-occidentale nel panorama centro-africano. E’ quindi comprensibile che Europa e Stati Uniti vedessero con apprensione l’avvento di leader carismatici di dichiarata fede marxista, come Raila Odinga. 

Rientrato in Kenya nel 1992 quando il paese, pur se ancora governato da Moi, era finalmente approdato a una democrazia parlamentare, Raila tornò a dedicarsi all’attività politica, rinunciando a promuovere azioni per le torture ricevute durante la detenzione. Nel frattempo, il disfacimento dell’Unione Sovietica, lo indusse ad aprirsi un po’ all’economia di mercato, pur senza farlo rinunciare all’approccio populista che, all’insegna della dichiarata lotta senza quartiere alla corruzione, ai privilegi della classe politica e alla povertà, gli valse sempre più ampi consensi, soprattutto nelle aree di maggior sofferenza, come gli slum cittadini e le zone rurali del paese.   

Nella sua sempre infuocata campagna contro le speculazioni e la gestione straniera delle risorse africane, Raila, almeno fino a qualche anno fa, si lasciò andare a dichiarazioni stile Mugabe, che non gli attirarono certo le simpatie degli investitori europei presenti nel Paese. Oggi, la sua strategia è cambiata, forse anche in senso un po’ più opportunista. Infatti cerca il supporto alla sua causa contro i brogli elettorali, che lui attribuisce al governo, anche di quei Paesi capitalisti che un tempo la sua formazione marxista gli faceva aborrire. Oggi la domanda da porsi è: Raila Odinga è davvero cambiato? Forse, ma i più non ci credono e ritengono che la volpe abbia solo perso il pelo.

Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
@Franco.Kronos1

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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