Franco Nofori
Mombasa, 6 novembre 2017
Dopo la proclamazione ottenuta dalla Commissione Elettorale (IEBC), Uhuru Kenyatta è il nuovo presidente del Kenya, ma lo è solo in pectore, visto che una nuova petizione, presentata alla Corte Suprema da un sedicente movimento “We-The-People”, gli impedisce di prestare il giuramento che lo consacri nella carica. Le motivazioni di questa petizione sono quelle già note: “le elezioni non sono state credibili ed hanno gettato il paese nello sconcerto”. Il movimento che ha posto in atto l’iniziativa, non si identifica – almeno sul piano formale – con l’alleanza del NASA, ma si definisce “una libera associazione di cittadini insoddisfatti per come il processo elettorale è stato condotto”.
Alcune dichiarazioni degli esponenti del movimento in questione, hanno creato non poca inquietudine nel Paese già prostrato da molti mesi di tensioni e di incertezze. Fino all’ultimo la preparazione del ricorso è stata mantenuta segreta perché, come riporta il Nation “Si temevano attacchi da parte di gruppi criminali sponsorizzati dal governo”. Accuse gravissime, queste, e del tutto incompatibili con un sistema che si definisce democratico. Accuse che hanno fatto esplodere sui social network la reazione dei cittadini stanchi ed esasperati da questi interminabili scambi di accuse e di illazioni. Molti sono quelli che rivolgono accorati appelli ai due contendenti affinché siedano presto ad un tavolo e raggiungano un accordo che salvi il Kenya dalla rovina. “Vi prego, vi prego, Uhuru e Raila – scrive Julius Barasa – incontratevi e parlate di pace!!”
In effetti i due antagonisti si sono entrambi detti disponibili ad un accordo e nell’incontro che è avvenuto ieri durante la celebrazione religiosa presso l’Anglican All Saints Cathedral di Nairobi, si sono anche scambiati – almeno all’apparenza – una molto cordiale stretta di mano. Le successive dichiarazioni dei due non sembrano però essere il linea con le aspettative di pace che il popolo chiede poiché si mostrano entrambi non disposti a recedere dalle rispettive posizioni, questo anche malgrado le esortazioni pubblicamente rivolte loro dall’Arcivescovo Justin Welby: “La riconciliazione è un supremo dono di Cristo – ha detto l’alto prelato anglicano – il non perseguirla con forza, lo fa nuovamente morire sulla croce”.
Intanto altre afflizioni sembrano incombere su Raila Odinga che, dopo la sua ferma convinzione di essere stato defraudato dalla vittoria elettorale, deve ora vedersela con presunte ribellioni all’interno della sua stessa alleanza. I due più importanti governatori della costa; Ali Hassan Joho e Amason Kingi, a capo delle rispettive Contee di Mombasa e Kilifi, sono stati accusati da Moses Kuria, un deputato nell’area Jubilee di Uhuru Kenyatta, di aver registrato un partito indipendente staccandosi dal NASA. Gli interessati hanno seccamente smentito definendo l’asserzione di Kuria “mera propaganda” a favore del governo, ma vera o no che sia la notizia, contribuisce a riscaldare sempre di più un clima già incandescente.
Insomma, anche in questa occasione, sembra che tutto possa risolversi solo attraverso una spartizione del potere che soddisfi entrambi i contendenti. L’Africa ci ha del resto abituati a questo peculiare modo di intendere la democrazia. Le istanze dei popoli non sono mai prioritarie, ma sempre subordinate agli interessi dei potenti e quando questi interessi non sono garantiti, per i popoli sono guai. Il Kenya, grazie anche alla mancanza di disordini e di violenze a sfondo politico, tenta faticosamente di tornare alla normalità, ma le cupe nubi che incombono sul suo futuro sono tutt’altro che dissipate.
Franco Nofori
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