AFRICA

In Sudan per bloccare i migranti l’Europa continua a finanziare i criminali janjaweed

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 2 novembre 2017

L’Unione Europea ha stanziato centosei milioni di euro il 23 ottobre scorso per ulteriori aiuti al Sudan. Il finanziamento è stato deliberato dopo il rapporto di Christos Stylianides, commissario dell’UE, responsabile aiuti umanitari e gestione di crisi, sul Paese che ha visitato recentemente.

Quarantasei milioni di euro saranno devoluti in aiuti umanitari, mentre la restante somma è destinata allo sviluppo. Dalla relazione del commissario si evince che oltre 4,8 milioni di persone in Sudan necessitano di aiuti umanitari immediati. In particolare a rischio sono gli sfollati del Darfur e i sempre più numerosi profughi che provengono dal Sud Sudan, il più giovane Stato della terra, che vive un sanguinoso e atroce conflitto iniziato più di tre anni fa (http://www.africa-express.info/2017/07/06/catastrofe-umanitaria-sud-sudan-infuria-la-guerra-non-ce-cibo-la-gente-muore/).

L’UE ha precisato che questi fondi saranno gestiti da organizzazioni umanitarie e non dal governo sudanese. Dal 2011 ad oggi l’Unione ha devoluto al Sudan ben quattrocentoventidue milioni di euro per venire in aiuto alle popolazioni toccate da conflitti, catastrofi naturali, epidemie, insicurezza alimentare e malnutrizione.

UE stanzia fondi per aiuti umanitari e sviluppo in Sudan

Altri finanziamenti sono stati concessi tempo fa al governo di Omar al-Bashir, presidente dell’ex protettorato anglo-egiziano dal 1989 (prese il potere il 30 giugno con un colpo di Stato defenestrando Sadiq al Mahadi, regolarmente eletto), sul quale pende un mandato d’arresto, emesso dal procuratore generale della Corte Penale Internazionale, Luis Moreno Ocampo.

Ma il denaro era finito nelle tasche dei janjaweed, le milizie paramilitari sudanesi diventate famose per le atrocità commesse in Darfur: i “diavoli a cavallo” come erano soprannominati (questo significa janjaweed) bruciavano i villaggi, stupravano le donne, trucidavano gli uomini e rapivano i bambini per renderli schiavi.

Insomma banditi assassini che ora lavorano su mandato di Khartoum per arginare il flusso dei migranti per conto dell’UE, grazie al Memorandum of Understanding sul tema delle migrazioni, siglato a Roma, il 3 agosto 2016 tra il capo della Polizia italiana,  Franco Gabrielli, e il suo omologo sudanese, Hashim Osman Al Hussein in presenza di funzionari del ministero dell’Interno e del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Christos Stylianides, Commissario UE per aiuti umanitari e gestione crisi

Il MoU si inserisce in un quadro più ampio di cooperazione tra Sudan e l’UE sui flussi migratori – Processo di Khartoum, lanciato dall’allora sottosegretario agli Esteri Lapo Pistelli durante la presidenza italiana a Bruxelles – e il Fondo fiduciario d’emergenza dell’Unione europea per la stabilità, e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa, lanciato nel novembre 2015 al Summit de La Valletta.

I miliziani delle Rapid Support Forces sono ancora presenti nel Darfur e Radio Dabanga, un giornale online sempre molto ben informato sulle questione del Darfur/Sudan, ha riportato che lunedì scorso hanno aperto il fuoco su un’autovettura sulla quale viaggiavano un pastore della tribù dei Mahameed con la figlia di soli tredici anni.

I due non hanno riportato ferite gravi, hanno potuto proseguire il loro viaggio, ma i miliziani, una volta appreso che i due appartenevano alla tribù dei Mahameed, hanno rasato a zero la testa della ragazzina prima di farli ripartire.

Il capo di tale tribù è Musa Hilal,  accusato in passato di crimini di guerra da diverse organizzazioni per i diritti umani. Oggi l’ex janjaweed è in conflitto con il governo e si oppone alla fusione della sua milizia tribale con le RSF.

Janjaweed a cavallo fotografati in Darfur qualche anno fa

Le Rapid Support Forces (RSF, il nome ufficiale dei gruppi janjaweed), sono attivi anche nello Yemen. Al-Bashir sostiene infatti la coalizione internazionale guidata dall’Arabia Saudita; e proprio nel mese di settembre il comandante delle RSF, Mohamed Hamdan Daglo aveva fatto sapere che ben quattrocendodici militari sudanesi sono morti in Yemen dal 2015.

Le forze dell’RSF sostengono le truppe saudite soprattutto nel controllo delle frontiere contro gli attacchi degli huti, in poche parole sono considerate una componente essenziale nelle operazioni militari terrestri della coalizione.

Dal marzo del 2015 nello Yemen si consuma un sanguinoso conflitto interno, che vede contrapposto due fazioni: gli huti, un movimento religioso e politico sciita, che appoggiano il presidente destituito Ali Abd Allah Ṣaleḥ da un lato e le forze del presidente Mansur Hadi, rovesciato dagli huti con un colpo di Stato nel gennaio 2015.  La coalizione saudita entra nel conflitto nel marzo 2015 a sostegno di Hadi, che a tutt’oggi è riconosciuto dalla comunità internazionale come capo di Stato.

Organizzazioni umanitarie internazionali avevano temuto che i miliziani delle RSF potessero macchiarsi nuovamente di terribili crimini come era successo in Darfur. Gli huti e i loro alleati avevano cercato di accusare gli (ex) janjaweed di avere partecipato allo spostamento di massa di centinaia di migliaia di civili verso Hajja, fatto che poi è risultato non corrispondere al vero.

Ma in Sudan non tutti i politici sono concordi sulla partecipazione alla guerra nello Yemen. Hassan Osman Rizq, parlamentare e uno dei leader del Reform Now Movement, ha chiesto il ritiro immediato delle truppe, proprio per le forti perdite subite. Due giorni fa l’ambasciata di Khartoum a Sanaa, la capitale dello Yemen, è stata attaccata per la terza volta dai ribelli huti.

Bombe-MK841 prodotte a Domusnovas, Sardegna, dalla RWM

Ieri sono morte ventinove persone, tra loro anche bambini, altre ventotto sono state ferite durante un attacco aereo nel nord del più povero Paese del mondo arabo. Sono state le bombe sganciate dai cacciabombardieri Eurofighter “Typhoon” che i sauditi hanno acquistato dal consorzio europeo composto dai colossi BAE, EADS e dall’italiana Alenia Aermacchi (Finmeccanica) a uccidere, bombe, che forse portano la firma “made in Italy”, prodotte dalla RWM di Domusnovas, Sardegna (http://www.africa-express.info/2016/12/11/bombe-italiane-partite-da-cagliari-allarabia-saudita-per-reprimere-la-rivolta-yemen/).

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

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maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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