Dal nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 30 ottobre 2017
Alle 18,07 di oggi, con il solito endemico ritardo, rispetto all’ora stabilita, il presidente della Commissione Elettorale (IEBC) Wafula Chebukati, ha nuovamente proclamato vincitore alla corsa presidenziale Uhuru Kenyatta dell’alleanza Jubilee. Se esistesse un Nobel per l’arte di saper creare confusione, il Kenya potrebbe candidarsi al podio con robuste speranze di vittoria.
Sin dal voto dell’8 agosto le notizie fornite al pubblico dalle istituzioni preposte, sono state contrassegnate da una ridda di affermazioni, smentite e riaffermazioni: “Le elezioni sono valide, le elezioni non sono valide e occorre rifarle; La nuova tornata elettorale si terrà il 17 ottobre, la nuova tornata elettorale si terrà il 26 ottobre; Raila ritira la propria candidatura, Raila (forse) non la ritira, Raila conferma che la ritira; Nei seggi in cui non si è votato il 26 ottobre si voterà il 28 ottobre, nei seggi in cui non si è votato, non si voterà più… “
L’immagine che il Kenya sta fornendo al mondo è un’immagine del tutto deludente. Non ha saputo organizzare un efficiente sistema di sicurezza che garantisse l’esercizio del diritto al voto e malgrado questo ha pagato un alto costo in vite umane. La gestione del processo elettorale, benché in preparazione da più di un anno, non è stata in grado di fornire riscontri trasparenti ed oggettivi, condita dal solito pasticcio di schede sbagliate, materiale inviato nei seggi diversi da quelli cui erano destinati e vari ritardi nell’approvvigionamento.
Ma ciò che crea più sconcerto è che la Corte Suprema, nel decretare l’annullamento dei primi risultati, non è stata capace (o non ha voluto) spiegare chiaramente al pubblico i motivi dell’annullamento, né chi era responsabile per le irregolarità riscontrate. Del resto, che l’atteggiamento della Corte sia stato caratterizzato da una timidezza un po’ sospetta, è stato confermato il 25 scorso, quando è riuscita a deliberare sulla petizione che chiedeva un rinvio delle elezioni perché cinque membri su sette erano assenti. Le ragioni? Chi aveva perso l’aereo, chi era troppo lontano, chi non si sentiva bene…
Uhuru Kenyatta è ora formalmente autorizzato a governare. Ma con il Paese spaccato in due e con troppa polvere sotto il tappeto, avrà la forza sufficiente per tenere unite le due fazioni avversarie? Perché il punto è solo questo. Se il Kenya dovrà procedere verso il traguardo di emancipazione sociale ed economica, di cui ha disperato bisogno, non potrà certo farlo in quel clima di permanente conflitto che i sostenitori del NASA hanno promesso. Forse la soluzione potrebbe davvero risiedere in quel governo di coalizione proposto da Raila Odinga. Certo, non è questa una soluzione che soddisfi pienamente le parti e non è neppure una soluzione oggettivamente giusta, ma la democrazia africana si regge su equilibri ancora molto diversi da quelli occidentali e qui il bene comune deve ancora prevalere sui diritti personali, posto che questi siano ben definiti e verificati, cosa che, nella fattispecie, lascia ancora molti dubbi.
Kenyatta ha formalmente vinto. Il risultato era peraltro scontato dopo la defezione del NASA dal voto. Da domani il Kenya, si leccherà le molte ferite e tenterà di riprendere i suoi normali ritmi di vita, Non sarà facile perché le tensioni sono tutt’altro che sopite. Del resto per nessun paese al mondo sarebbe facile accettare un risultato elettorale prodotto senza la partecipazione di quattro intere contee. Sarebbe come se in Italia un partito conquistasse il potere, malgrado che quattro province non abbiano potuto votare. Infine, un’affluenza alle urne del solo 30 per cento degli iscritti al voto, limita certamente la rappresentatività di chi ha il difficile compito di governare. Le ore a venire ci diranno se la lunga agonia sofferta dal paese in questi mesi è davvero finita.
Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
@Franco.Kronos1