EDITORIALE
Massimo A. Alberizzi
Milano, 16 ottobre 2017
Ogni giorno a Mogadiscio c’è un attentato, una bomba, un’imboscata. Gli abitanti della capitale somala, in lacrime, contano spesso i loro morti. Ma quello che è esploso sabato davanti a Safari Hotel è un ordigno di dimensioni talmente potenti da lasciare tutti attoniti e atterriti. L’edificio che ospitava l’albergo è completamente distrutto, ridotto a un cumulo di macerie e molte delle palazzine vicine sono state danneggiate. Alcune sono pericolanti, con intere ali crollate.
L’albergo Safari si trova nel distretto chiamato “Quinto Chilometro” (a Mogadiscio si usa questa denominazione in italiano) poco lontano da quella che era l’enorme isolato che ospitava l’ambasciata americana, deserta dal 1994 e più volte saccheggiata. Il “Quinto Chilometro” accoglie ministeri, uffici pubblici, il tribunale e l’ospedale Medina, dove sono stati ricoverati i feriti dell’attentato di sabato.
L’attacco non è stato rivendicato, anche se tutti danno la responsabilità al gruppo terrorista islamico Al Shebab, la branca di Al Qaeda in Africa Orientale. Gli shebab normalmente sono rapidissimi a spiegare la matrice degli attentati e se stavolta non lo hanno fatto – commentano gli osservatori a Nairobi – è perché dev’essere accaduta qualcosa: o il gruppo si è spaccato oppure una nuova componente fondamentalista (probabilmente legata all’ISIS, cioè lo stato islamico, antagonista di al Qaeda) ha fatto il suo ingresso nel teatro somalo.
Gli shebab nelle ultime settimane hanno subito diverse sconfitte militari e sofferto parecchie defezioni, anche di dirigenti importanti, come quella di Muktar Robow, alias Abu Mansur che si è consegnato alle autorità.
Massimo A. Alberizzi
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