Dal Nostro Corrispondente
Franco Nofori,
Mombasa, 14 ottobre 2017
L’Egitto “è un dono del Nilo”, scrive Erodoto, ma nonostante i mille chilometridi lunghezza, vi è terra fertile solo lungo le sue sponde. Un sasso lanciato da queste cadrà in una desolata distesa di sabbia e roccia. Nel Cairo nascono ogni giorno più di mille bambini, da subito condannati alla fame. A loro si aggiungono ogni anno circa centomila contadini che vengono in città perché nei luoghi d’origine non c’è nulla che possa essere coltivato.
E’ stimato che gli abitanti di questa megalopoli sfiorano i dodici milioni e malgrado il governo abbia in atto un alacre progetto di edilizia popolare, il problema della casa – dopo la fame – resta la più drammatica emergenza. I quartieri più popolosi ospitano fino a duecentosettantamila abitanti per mille metri quadri, due volte e mezzo quelli di più elevata densità di Calcutta. In queste allucinanti aree urbane, dieci persone e più possono vivere stipate in una sola stanza senza finestre. Molti, che non trovano un tetto, vanno addiritura dormire nelle tombe delle famiglie patrizie nei cimiteri.
Dopo la rivolta del 2011 che rimosse dal potere Honsi Mubarak, fu la volta dei Fratelli Musulmani di Mohamed Morsi, che dopo ottant’anni di tentativi, raggiunsero il potere con il quaranticinque per cento dei consensi. Considerato un movimento clandestino, il loro avvento inquietò l’occidente e l’imprenditoria egiziana, non del tutto a torto, visto che l’orientamento del nuovo governo era ispirato al radicalismo islamico.
Tuttavia la presidenza Morsi durò poco più di un anno perché nel luglio del 2013 fu scalzata da un colpo di stato promosso dal generale Abd al-Fattāḥ al-Sīsī che assunse la carica sotto gli occhi sostanzialmente compiaciuti dell’occidente. Come c’era da attendersi, il nuovo presidente promulgò subito provvedimenti straordinari per combattere non solo il terrorismo, ma anche ogni forma di dissenso, limitando drasticamente le libertà di pensiero e di stampa. (http://www.africa-express.info/2017/08/21/bloccato-sito-di-repotre-senza-frontiere-egitto/)
I rischio del fondamentalismo venne così rimpiazzato dal terrore con misure repressive che fornirono ai servizi di sicurezza licenza di torturare ed uccidere, come nello sventurato caso dello studente italiano Giulio Reggeni, che il governo egiziano continua ad attribuire alla criminalità comune. Versione alla quale nessuno crede. In questo tragico evento, l’atteggiamento dell’Italia non è stato certo edificante, così come ha fatto rilevare un’inchiesta recentemente pubblicata dal New York Times che, non lascia dubbi sulla matrice governativa dell’omicidio e delle torture inflitte al nostro giovane connazionale.
L’Italia, del resto, ha enormi interessi in Egitto. Sono molte le nostre aziende che operano ed esportano nel paese. Vi è lo sfruttamento ENI delle enormi riserve di gas naturale scoperte nelle acque territoriali egiziane e vi sono anche gli ottimi rapporti di Al-Sisi con il generale libico Haftar che controlla la cirenaica ed ha avuto, fino ad ora con noi, rapporti non proprio idilliaci, mentre, grazie all’intercessione del suo amico egiziano, potrebbe diventare un prezioso alleato nel contenimento dei flussi migratori verso le nostre coste.
Nel maggio scorso, a seguito degli attentati contro le chiese copte di Tanta e Alessandria, Al-Sisi proclamò lo stato d’emergenza (tuttora in vigore). Amnesty International fornisce dati agghiaccianti: sessantamila persone, tra dissidenti e presunti terroristi, sarebbero trattenuti nelle carceri dove molti di loro subiscono quotidianamente la tortura, ma a questo regime di terrore e di delazione, che ricorda i tempi della Russia sovietica, si è ora aggiunto lo sfacelo economico che spinge alla ribellione anche gente comune senza velleita politiche, che chiede semplicemente di poter sopravvivere. . (http://www.africa-express.info/2017/05/02/save-fadl-al-mawla-lultima-condanna-a-morte-sommaria-in-egitto/)
Per accedere al prestito del Fondo Monetario Internazionale, previsto in 12 miliardi di dollari, Al-Sisi ha dovuto adottare severe misure di austerità. Misure che, fino ad ora, pur avendo evitato il crollo economico del paese, grazie all’erogazione della prima trance del prestito di 2,75 miliardi di dollari e della seconda, liquidata recentemente per 1,25 miliardi, si sono tuttavia rivelate inefficaci a migliorare le condizioni di vita della popolazione, benche al finanziamento del FMI sia sia anche aggiunto quello di tre miliardi di dollari erogati dalla Banca Mondiale.
Le condizioni imposte dai finanziatori sono durissime: Taglio dei sussidi alle famiglie più povere; imposizione dell’IVA al 13 per cento; drastica riduzione dei posti di lavoro nel pubblico impiego; svalutazione della moneta locale. Queste misure, nel 2016, hanno fatto balzare il tasso di inflazione al 24,4 per cento; i prezzi dei generi di prima necessita, farmaci inclusi, sono raddoppiati; la lira egiziana si è svalutata del 47 per cento rispetto al dollaro, mentre i salari sono rimasti gli stessi e la disoccupazione è salita ai più alti livelli della storia egiziana.
Queste misure stanno creando nel paese una frustrazione trasversale che si fa sempre più minacciosa e poiché Al-Sisi, risponde a queste tensioni con l’inasprimento della repressione, aumenta anche, in modo esponenziale, la rabbia della popolazione contro il regime e si creano focolai di protesta che contengono i semi di una vera e propria rivolta dei poveri.
Franco Nofori
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