Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 27 settembre 2017
Tra il confine con la Libia e il Sudan sono stati intercettati quarantuno migranti “illegali” dalle Rapid Support Forces (SRF) sudanesi, nome ufficiale dei gruppi janjaweed, milizie paramilitari diventate tristemente famose per le atrocità commesse in Darfur: i diavoli a cavallo – questo il significato del loro nome – bruciavano i villaggi, stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i bambini per renderli schiavi. (http://www.africa-express.info/2016/09/05/sudan-nella-guerra-contro-i-migranti-litalia-finanzia-e-aiuta-i-janjaweed/). Ora lavorano su mandato del governo di Khartum per eseguire l’ordine dell’Europa: cacciare i migranti.
Il comandante sul campo dell’ SRF, Hassan Mohamed Abdalla, ha raccontato che i suoi miliziani hanno ingaggiato una vera e propria battaglia con gruppi di trafficanti di uomini nel triangolo Sudan-Libia-Egitto. Gli sfortunati migranti, un gruppo composto da comoriani, somali, siriani, etiopi e bengalesi, sono stati arrestati dalle forze SRF, undici trafficanti sono stati uccisi, mentre altri sette sono finiti in manette. Sempre secondo Abdalla, gli uomini del SRF avrebbero anche sequestrato sei automezzi militari, un’automobile e diciannove telefoni satellitari; due dei suoi irregolari sarebbero stati ammazzati, altri feriti.
Durante gli scontri è stato uccisa anche la guardia del corpo del capo tribale Musa Hilal, in passato uno dei leader dei janjaweed, poi nominato consigliere del ministro degli Interni sudanese. Haroun Medikheir, il portavoce del Revolutionary Awakening Council (RAC), del quale oggi Hilal è il capo, ha sottolineato che attualmente la tensione con i familiari di coloro che sono stati uccisi dalle SRF è molto alta. I congiunti accusano il comandante supremo delle SFR, Mohamed Hamdan Daglo, di essere il responsabile della morte dei loro cari.
Daglo non era presente al momento degli scontri, ma appena ne è venuto a conoscenza, ha ordinato ai suoi di abbandonare immediatamente l’area, per evitare nuove violenze. Il portavoce ha aggiunto: “Il governo sudanese è il vero responsabile di queste tensioni tra il RAC e le SRF, peccato che Daglo non l’abbia capito”.
Musa Hilal, capo tribù dei Mahameed, era stato accusato in passato di crimini di guerra da diverse organizzazioni per i diritti umani. Oggi l’ex janjaweed è in conflitto con il governo e si oppone alla fusione della sua milizia tribale con le SFR.
Qualche giorno fa Daglo ha sottolineato che gli SFR sono impegnati nel proteggere e difendere i confini del Sudan e ha chiesto nuovamente alla comunità internazionale di supportare questi sforzi nel contrastare l’immigrazione “illegale”. In poche parole, ha chiesto ulteriori finanziamenti (http://www.africa-express.info/2016/12/02/il-sudan-massacra-italia-germania-e-ue-lo-finanziano-per-arginare-il-flusso-dei-profughi/).
Omar al-Bashir, presidente dell’ex protettorato anglo-egiziano, è al potere da ben ventisette anni e sulla sua testa pende un mandato di arresto spiccato dalla Corte penale internazionale, per crimini contro l’umanità e genocidio nel Darfur.
Il 22 settembre si è recato in Sud Darfur, vicino a Kalma camp. In molti sono scesi nelle strada per protestare, ma i manifestanti sono stati dispersi dai militari sudanesi. Cinque persone sono state brutalmente uccise, mentre altre ventisei sono state ferite, alcune in modo grave.
Gli operatori della missione ibrida di pace Unione africana-Nazioni Unite (UNAMID) in Darfur hanno medicato chi ha subito le violenze dei militari nel campo e hanno confermato l’accaduto.
Oggi è stato reso noto che il numero dei morti è salito a nove, alcuni non sono sopravvissuti alle gravi ferite causate dalle pallottole. Le forze dell’ordine e i militari sudanesi stanno controllando tutte le maggiori entrate del campo, terrorizzando soprattutto i piccoli mercanti e gli addetti ai trasportati. Sono stati effettuati anche diversi arresti. I militari sono ancora impegnati nell’individuare le persone coinvolte nella dimostrazione contro la visita di al-Bashir. Il presidente non ama chi protesta e la sua unica risposta è l’oppressione.
Domenica scorsa è stato condannato a morte per impiccagione uno studente universitario di soli ventuno anni, ritenuto colpevole per aver ucciso un poliziotto durante le proteste studentesche scoppiate nell’aprile dello scorso anno. Piccolo particolare: durante la manifestazione fu ucciso anche uno studente dalle forze dell’ordine (http://www.africa-express.info/2016/04/24/sudan/).
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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