Africa ExPress
Kinshasa, 21 settembre 2017
Trentanove profughi burundesi sono stati barbaramente ammazzati venerdì scorso dalle forze armate della Repubblica Democratica del Congo (Forces armées de la RDC, FARDC). I soldati hanno sparato contro un gruppo di rifugiati a Kamanyola, nel Sud-Kivu, nell’est della ex colonia belga, mentre manifestavano contro l’espulsione nel Paese di origine di quattro loro compagni. Tra i morti, anche un bimba di dieci anni. Molti i feriti, un centinaio, i più gravi sono stati trasferiti in un ospedale a Goma con l’elicottero dell’Organizzazione delle Nazioni unite (ONU).
Non è del tutto chiaro perché siano scoppiati questi disordini e perché si sia arrivati ad uno scontro di tale violenza. Sembra comunque che una settimana fa siano stati arrestati quattro rifugiati armati di fucile. Ma un video li mostrerebbe con in mano con quattro bastoni. I giovani burundesi sono rimasti in prigione per un paio di giorni, per poi essere trasferiti presso la direzione generale per l’immigrazione.
Venerdì scorso un folto gruppo di profughi e richiedenti asilo si è recato davanti agli uffici dell’Agenzia per sicurezza nazionale congolese.
Secondo alcuni testimoni, due agenti della polizia locale avrebbero cercato di impedire ai manifestanti di avvicinarsi agli uffici. In seguito le truppe avrebbero cercato di disperdere la folla sparando in aria e i rifugiati hanno risposto lanciando sassi. Sempre in base alle testimonianze, un ragazzo si sarebbe poi impossessato dell’arma di un soldato congolese, uccidendolo.
E’ allora che i militari hanno aperto il fuoco, sparando indiscriminatamente ovunque. Una strage. Dopo l’accaduto, almeno la metà dei duemila profughi presenti nell’area di Kamanyola, poco distante dalla frontiera con il Burundi, hanno cercato protezione nelle vicinanze della base militare della missione d’ell’ONI, la MONUSCO (United Nations Organization Stabilization Mission in the Democratic Republic of the Congo).
Kinshasa ha giustificato il comportamento delle proprie truppe sostenendo che i militari sono stati attaccati da persone armate e non da un gruppo di rifugiati. E Lambert Mende, ministro per le comunicazioni ha aggiunto: “Chi li ha identificati come rifugiati? Abbiamo aperto un’inchiesta per identificare queste persone”. L’esercito rilascerà una dichiarazione non appena saranno concluse le indagini.
L’ONU, afferma invece che i manifestanti erano rifugiati e richiedenti asilo, in attesa di protezione internazionale. MONUSCO e l’ONU nel Congo-K hanno condannato il sanguinoso incidente e chiedono con fermezza che venga aperta un’inchiesta. Florence Marchal, portavoce di MONUSCO, ha descritto la reazione delle forze armate come sproporzionata e ha aggiunto: “Queste persone sono venute nel Paese per cercare protezione, non per essere uccise”.
Dopo i disordini scoppiati nel 2015 in Burundi, oltre trecentomila persone hanno cercato protezione nei Paesi confinanti, quarantaquattromila si trovano attualmente nella ex colonia belga, un luogo poco adatto per chi cerca pace e serenità. Pierre Nkurunziza, al potere dal 2005, ha vinto nuovamente le elezioni alla fine del 2015, afferma di non aver perseguitato nessuno dei suoi cittadini, eppure l’ONU ha raccolto una dossier che documenta assassini e uccisioni mirate, avvenuti negli ultimi due anni.
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