Franco Nofori
Mombasa, 15 settembre 2017
Nel suo discorso di ieri sullo stato dell’Unione, il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, ha nuovamente richiamato gli stati membri a versare, senza ulteriori indugi, quanto di loro spettanza affinché il fondo di supporto allo sviluppo dei paesi africani raggiunga il previsto ammontare di 2,7 miliardi di euro, fondo che ad oggi, presenta un esiguo saldo di soli 150 milioni. Senza questo sforzo congiunto dell’Unione, a suo dire, è utopico pensare che si possano efficacemente arrestare i flussi migratori che hanno messo in ginocchio l’Europa.
In apertura al suo appello, Juncker, si è calorosamente complimentato con l’Italia, le cui recenti iniziative, adottate dal ministro Minniti, attraverso accordi con le autorità libiche, hanno di colpo dimezzato gli sbarchi. “L’Italia – ha detto l’alto funzionario europeo – merita la nostra riconoscenza perché ha salvato l’onorabilità dell’Europa, ma ora occorre che questi risultati siano consolidati con la partecipazione di tutti”.
Il richiamo alla solidarietà arriva proprio mentre la FAO annuncia di essere a sua volta arrivata al limite delle proprie disponibilità destinate al continente africano.
E’ fuor di dubbio che un’Africa che investa massicciamente nel proprio sviluppo, crei opportunità di lavoro e garantisca migliori condizioni di vita ai propri cittadini, possa efficacemente combattere le situzioni che spingono all’esodo verso altri lidi. Lidi spesso troppo idealizzati e che quasi mai si conformano alle promesse che gli emigranti ricevono quando si decidono all’espatrio. L’Europa che li accoglie è del tutto impreparata a gestire la loro sistemazione. Annose procedure di carattere bizantino, impiegano anni per approdare a definitive pronunce sull’accettazione o sul respingimento delle richieste di asilo.
Nel frattempo, gli immigrati, o sono ospitati in costose strutture alberghiere, cosa che crea forti e legittimi risentimenti nella popolazione locale, oppure stipati in centri di accoglienza inadeguati e fatiscenti o, peggio ancora, abbandonati a se stessi, senza controlli di sorta e senza alcuna localizzazione, condizioni, queste ultime, che li espongono fatalmente ad essere reclutati dal caporalato del lavoro in nero o dalle organizzazioni criminali che li avviano allo spaccio di droga, alla prostituzione e ad altre attività illegali.
Fino ad ora l’Europa, soprattutto l’Italia, ha affrontato il fenomeno migratorio con un atteggimento caratterizzato dalla schizofrenia, senza avere la capacita e l’intenzione di valutarlo nei suoi aspetti pratici.
Si sono create correnti e spaccature che hanno diviso pericolosamente il paese tra i pro ed i contro immigrati, basandosi esclusivamente su reazioni umorali o vanamente idealistiche e sempre caparbiamente slegate dalle reali cause del fenomeno. Così ha fatto anche la classe politica che si è lanciata in esasperate zuffe tra governo e opposizione, più mirate alla perenne campagna elettorale che ad una reale volontà di porre mano al probema.
Sul piano umanitario, non si può considerare risolto il problema dell’immigrazione, nè quindi sentirsi adulati dagli apprezzamenti di Juncker, semplicemente perché gli sventurati che approdavano sulle nostre coste, sono ora bloccati in Libia dove ricevono un trattamento incivile e disumano: botte, stupri, torture ed anche uccisioni. E’ del tutto ipocrita che il governo italiano si ritenga legittimato a cantare vittoria per aver conseguito un risultato simile che non può produrre altro che vergogna di fronte alle coscienze del mondo. (http://www.africa-express.info/2013/09/16/i-migranti-perseguitati-in-libia-di-cornelia-i-toelgyes/) Del resto, questa misura, sta già dimostrandosi ineffiace perché il businness dell’immigrazione, ha già individuato altre strade per raggiungere l’Europa.
Su una cosa Juncker avrebbe però ragioni da vendere: per arrestare i flussi migratori, la soluzione non è quella di indirizzarli ai centro di raccolta libici anzichè alle nostre coste, ma intervenire efficacemente sulle cause che portano questa gente a fuggire dai propri paesi: guerre, persecuzioni etniche, povertà, assenza dei fondamentali diritti umani. E’ lapalissiano che eliminando queste cause, si eliminerebbero radicalmente anche le partenze alla volta dell’Europa, ma quanto questo progetto è realisticamente fattibile? Ben poco, ahimé come i trascorsi storici dell’Africa ne danno ampia testimonianza.
Per poter attuare quel “Piano Marshall per l’Africa” di cui in questi giorni si parla da più parti, occorre prima realizzare un’irrinunciabile condizione: la profonda moralizzazione delle leadership africane. Senza questa condizione il piano di finanziamenti farebbe la misera fine che hanno fatto fino ad ora la maggior parte di aiuti indirizzati al continente, cioé: uno spudorato arricchimento dei potenti ai danni di popolazioni sempre più condannate all’indigenza ed alla sudditanza assoluta verso chi le governa.
Potrà questo proposto fiume di denaro, combattere la smisurata ingordigia dei leader africani? Potrà annullare, come per incanto, le tensioni etnico-religiose? Potrà far ristabilire i principi del diritto e della lgalità là dove, ormi da molti decenni, sono sfacciatamente calpestati? E’ difficile crederlo senza che gli organismi internazionali decidano un risoluto e diretto intervento nella gestione della pubblica amministrazione africana, ma inevitabilmente questa sarebbe una scelta atta a provocare impetuose levate di scudi da parte dei propugnatori del diritto all’auto-determinazione; di accuse per l’interferenza nella sovranità di altre nazioni e via di questo passo, così che il tutto finisca, come sempre, in sterili ed accesi dibattiti che lasceranno invariabilmente le cose come stanno.
Franco Nofori
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