Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 14 settembre 2017
Il sito di Radio Dabanga, un’emittente solitamente ben informata, ha scritto lo scorso agosto che tribunali sudanesi hanno ordinato la deportazione di ben centoquattro eritrei, mentre altri sono stati condannati a una pena detentiva nelle terribili galere del Paese, perché accusati di infiltrazione illegale nel territorio del Sudan. Alcuni di loro erano stati fermati oltre un mese fa, mentre si stavano recavando in Libia.
Una fonte confidenziale che ha preferito mantenere l’anonimato, ha informato Radio Dabanga che la Corte sudanese non ha permesso che i rifugiati eritrei fossero difesi da un avvocato. I documenti di viaggio di queste persone sono stati consegnati subito dopo la sentenza alle autorità eritree al confine di El-Laffa.
Tra gli eritrei condannati alla deportazione ci sono anche trenta minori, che sono già stati dati in custodia alle forze dell’ordine della nostra ex colonia.
Attivisti per i diritti umani in Sudan hanno informato immediatamente l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR), chiedendo un suo intervento per fermare queste deportazioni di massa.
Human Rights Concern-Eritrea (HTCE), un’organizzazione non profit indipendente, con base a Londra, impegnata nella difesa dei diritti umani, è seriamente preoccupata per i trenta giovani e giovanissimi rimpatriati alla fine di agosto e in un comunicato ha fatto sapere che potrebbero essere imprigionati e essere torturati e maltrattati. Il rimpatrio forzato di rifugiati nei loro Paesi d’origine è una grave violazione del diritto internazionale.
Anche Elizabeth Tan, vice rappresentante dell’UNHCR per il Sudan, ha espresso le sue perplessità sul rimpatrio forzato e sul fatto che i rifugiati siano stati privati del diritto di essere assistiti adeguatamente da un legale durante il processo che li ha visti come imputati per immigrazione illegale. La Tan ha sottolineato che trattandosi di profughi, tali posizioni andrebbero stralciate durante i dibattimenti giudiziari.
Il governo sudanese non è mai stato molto tollerante con i richiedenti asilo e i migranti, ma da quando l’Unione Europea e l’Italia hanno promesso a Omar al Bashir, il presidente del Sudan ricercato dal tribunale penale internazionale per crimini contro l’umanità commessi in Darfur, somme consistenti (cento milioni di euro) per il controllo delle frontiere, la condotta delle forze dell’ordine nei confronti dei profughi si è inasprita. (http://www.africa-express.info/2016/09/05/sudan-nella-guerra-contro-i-migranti-litalia-finanzia-e-aiuta-i-janjaweed/ e
http://www.africa-express.info/2016/10/28/i-finanziamenti-italiani-e-europei-agli-stupratori-sudanesi-gli-eurodeputati-scrivono-al-governo-di-roma
Martedì scorso sono stati fermati altri quindici eritrei durante controlli al confine tra il Sudan e la nostra ex colonia. Ora si trovano in prigione a Kassala in attesa di giudizio.
Residenti della zona riportano che negli ultimi mesi sono nuovamente aumentati i rapimenti di rifugiati nell’est del Sudan da parte di gruppi di trafficanti. Recentemente sono stati liberati ventidue giovani, tra loro anche tre ragazzine. Per il loro rilascio sono stati chiesti riscatti tra millecinquecento e cinquemila dollari a persona. Il problema che persiste ormai da anni (http://www.africa-express.info/2015/05/05/bashir-rieletto-presidente-del-sudan-mentre-aumenta-la-violenza-contro-profughi-eritrei/).
Il governo di al Bashir non nega la propria collaborazione all’Unione Europea, ai suoi Paesi membri per combattere il flusso migratorio. Qualche giorno fa Theo Franken, segretario di Stato belga per l’Asilo e per l’Immigrazione ha chiesto aiuto alle autorità di Khartoum per il rimpatrio di “illegali sudanesi”. A tale proposito Franken ha incontrato la scorsa settimana l’ambasciatore a Bruxelles, Mutrif Siddiq, il quale ha confermato che i necessari documenti per i suoi connazionali sono in fase di preparazione per accelerare il loro rimpatrio forzato.
Il ministro belga ha sottolineato che un team di agenti dell’ambasciata sudanese perlustrerà il Maximilian Park di Bruxelles dove sono accampati oltre seicento migranti africani, per identificare coloro che sono scappati dall’ex protettorato anglo-egiziano. La maggior parte di loro non intende chiedere asilo in Belgio, perché vorrebbe raggiungere la Gran Bretagna.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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