Franco Nofori
Mombasa, 2 settembre 2017
E’ ancora vivo in tutta la comunità italiana del Kenya, l’orrore per l’efferata aggressione del luglio scorso nella villetta di Kikambala, in cui ha perso la vita la settantenne Maria Laura Satta e ha subito gravi ferite il marito Luigi Scassellati, 71 anni, entrambi ex imprenditori in pensione, di origine sarda, ma da molti anni residenti a Cremona. (http://www.africa-express.info/2017/07/23/breaking-newsrapina-villa-mombasa-uccisa-unitaliana-il-marito-gravemente-ferito/)
Il Capo della polizia criminale della contea di Kilifi, ha presentato all’alta corte di Mombasa le prove che inchioderebbero il giardiniere Lewis, da subito sospettato, di essere l’ideatore ed uno degli esecutori del massacro. Lui, dal carcere di massima sicurezza di Shimo la Tewa (letteralmente: “Tana della cernia”), alle porte di Mtwapa, sulla costa nord del Kenya, continua a proclamarsi innocente, non rivela alcun dettaglio sui supposti complici e si dice ostinatamente estraneo alla sanguinosa vicenda.
La polizia, però, si mostra ben sicura delle accuse che gli rivolge ed è riusita ad ottenere dall’alta corte la sua fomale incriminazione. Si attende ora che il collegio giudicante completi l’inchiesta e pronunci la sentenza a carico dell’uomo che è stato posto in custodia fin dal giorno in cui fu scoperto il crimine. Da Cremona, Luigi Scassellati, sopravvisuto alla feroce incursione, si dice soddisfatto di questo risultato. Lui, del resto, non aveva mai avuto dubbi sulla responsabilità del giardinerie e l’aveva più volte affermato durante la sua degenza presso l’ospedale di Mombasa che gli aveva prestato le prime cure.
Malgrado siano passati 41 giorni dal fatto, Luigi non si è ancora del tutto ristabilito. Permane la quasi totale insensibilità della gamba sinistra e del braccio destro che sono stati oggetto di violenti e ripetuti colpi, oltre alle ferite da taglio inflittegli al capo con il machete. Queste condizione sono monitorate dai medici a cui si è affidato immediatamente dopo il suo rientro in Italia ed è presumible che il costante ricordo della moglie perduta, nei confronti della quale aveva confessato profondi complessi di colpa, aggiunga, oltre al disagio fisico, anche un inconsolabile turbamento morale.
Ma quali circostanze rendono la polizia così sicura della responsabilità del giardiniere? Lo spiega il sergente Mukaya della polizia di Mtwapa che ha personalmente condotto le indagini. Secondo le sue dichiarazioni Lewis, il giardiniere, aveva lasciato la casa della coppia alle 6.10 del mattino di domenica 23 luglio per andare in chiesa. La notte, sempre a suo dire, era trascorsa senza che si verificasse nulla di insolito e – per conseguenza – l’aggressione non poteva quindi che essersi verificata dopo che lui aveva lasciato il posto di lavoro.
Due aspetti, di questa versione degli eventi, creerebbero però forti perplessità negli inquirenti. La prima è che, per gli africani, il tempo è un elemento misurato in modo molto aleatorio ed è estremamente raro che venga da loro definito con la precisione utilizzata da Lewis. I residenti locali, inoltre, comunicano tra loro contando le ore partendo dal sorgere del sole, per cui le sei del mattino corrispondono all’una, le sette alle due e così via. Qantomeno inusuale, dunque, che Lewis, non solo riferisse l’ora in cui ha lasciato la casa in questione alla maniera occidentale, ma addirittura fissandola alle 6.10, cioè con estrema e pignola precisione.
Inoltre, gli abitanti della costa sono molto mattinieri ed è raro che non siano già in piedi prima ancora del sorgere del sole. Com’è allora possibile che nessun abitante del popoloso aggromerato urbano di Kikambala, interrogato dagli investigatori, abbia visto Lewis mentre si recava in chiesa? “Situi”, è stata la riposta di tutti (non so). Si tratta di un semplice atteggiamento omertoso oppure Lewis non è effettivamente transitato in quei luoghi e in quell’ora? Ed è poi davvero credibile che i malviventi abbiano scelto le prime ore di luce per compiere l’aggressione? Come hanno poi potuto, non visti neppure loro, abbandonare l’abitazione dei poveri coniugi, con gli abiti, molto presumibilmente, imbrattati di sangue?
E vero che questi, insieme ad altri riferiti dagli inquirenti, sono solo indizi e non prove, ma la polizia è certa di aver incastrato Lewis sulla base di un’evidenza regina che lo inchioderebbe alla sua responsabilità. Il giardiniere, come lui stesso ha riferito, pernottava sempre in un locale a lui riservato nel giardino dei suoi datori di lavoro. All’alba, qualche volta usciva per poi riprendere servizio alle 8, ma quel giorno, domenica, era il suo giorno libero e non era quindi previsto che facesse ritorno. L’accesso all’esterno della proprietà avveniva attraverso un porticino metallico protetto da un lucchetto fissato all’interno. Di quel lucchetto, Lewis, aveva la chiave. Apriva. Usciva e grazie ad uno sportello che rendeva il lucchetto agibile dall’esterno, lo faceva scattare richiudendolo.
La chiave di questo lucchetto doveva quindi essere sempre nelle sue mani, ma a detta della polizia, quella chiave è stata invece rinvenuta abbandonata sul piano di un tavolo all’interno dell’abitazione il cui accesso era chiuso dall’interno. Come poteva Lewis, si chiedono gli inquirenti, aprire il portoncino ed uscire se non aveva la chiave? E se quella chiave l’aveva, come ha fatto, dopo che lui se ne era andato, a finire sul tavolo in cui è stata ritrovata? Questa è la circostanza che non ha lasciato dubbi, né alla polizia né al tribunale, circa l’attiva partecipazione del giardiniere al fatto criminioso, anche perché una copia di quella chiave che era nella diponibilità dei due italiani è stata ritrovata in un mazzo che conteneva le varie chiavi di casa.
Effettivamente si tratta di un riscontro difficilmente contestabile che ha indotto la polizia a concludere che l’aggressione non è avvenuta al mattino, come la versione fornita da Lewis lascerebbe intendere, ma nel corso della notte. Resta tuttavia da sciogliere un interrogativo che solo un ritorno della memoria di Luigi potrebbe svelare: chi ha aperto la porta d’ingresso all’abitazione, che non mostrava segni di scasso? E’ stato lo stesso Luigi? E’ se così, perché ha aperto?
Insieme a questa incognita, che forse non sarà mai svelata, ne resta anche un’altra non meno importante: sono state rilevate le impronte digitali all’interno dell’alloggio? Se ciò è stato fatto, perché non si sono trovate quelle di Lewis? E se invece le impronte non sono state rilevate, perché la polizia ha rinunciato ad un così importante riscontro, visto che il presunto colpevole è in loro mani ed una verifica sarebbe risultata del tutto agevole ed altamente probatoria?
Franco Nofori
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