Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 28 agosto 2017
Negli scontri di sabato scorso tra truppe regolari e ribelli a Kaya in Yei, River State in Sud Sudan, insieme ad una ventina di altre persone è stato ucciso Christopher Allen, un giornalista free lance statunitense di soli ventisei anni. Il giovane, laureato in storia, voleva raccontare, documentare questa stupida, inutile guerra civile, scoppiata nel dicembre 2013 nel più giovane Stato della Terra. Ora dovranno farlo altri per lui.
Santo Domic Chol, un portavoce del Sudan People’s Liberation Army (SPLA) – le truppe regolari – parlando con i reporter di Reuters ha spiegato: “Per terra, nelle vicinanze della postazione di difesa, c’erano sedici corpi, forse di più, tra loro anche quello di un uomo bianco”
Christopher è stato identificato dalle truppe ribelli, era con loro insieme ad altri due giornalisti nelle ultime settimane per denunciare gli orrori di questo conflitto, ignorato dalla maggior parte dei media.
Uno dei ribelli ha precisato che sul giubbotto del giornalista era ben visibile la scritta “PRESS”, ma malauguratamente è stato colpito mentre si trovava in mezzo al combattimento. L’ambasciata degli Stati Uniti d’America ha confermato la sua morte e la sua famiglia è stata informata.
Dall’inizio del conflitto ad oggi sono state uccise decine di migliaia di persone, tra loro donne e bambini. Oltre quattro milioni di cittadini hanno dovuto abbandonare le loro case, due milioni hanno cercato protezione nei Paesi limitrofi, un milione e più sono nella vicina Uganda, che sta affrontando una delle peggiori crisi migratorie del momento.
Violenze e stupri sono all’ordine del giorno. Non si muore solo per le pallottole o per i colpi di machete, in questo Paese si viene uccisi anche dalla fame, perchè fame e stupri sono vere e proprie armi da guerra. (http://www.africa-express.info/2017/07/06/catastrofe-umanitaria-sud-sudan-infuria-la-guerra-non-ce-cibo-la-gente-muore/). Nel Sud Sudan non si ammazza solo la popolazione ma anche giornalisti e operatori umanitari, oltre ottanta impiegati di ONG hanno perso la vita dall’inizio del conflitto.
L’attuale situazione nel Sud Sudan è frutto di una guerra civile iniziata ormai più di tre anni fa: il presidente Salva Kiir Mayardit, di etnia dinka, aveva accusato il suo vice Riek Marchar, un nuer, di aver complottato contro di lui, tentando un colpo di Stato. Da allora sono iniziati i combattimenti tra le forze governative e quelle fedeli a Machar. I primi scontri si sono verificati il 15 dicembre 2013 nelle strade di Juba, la capitale del Paese, ma ben presto hanno raggiunto anche Bor e Bentiu. Vecchi rancori politici ed etnici mai risolti, non fanno che alimentare questo conflitto.
E proprio in questi giorni sono stati lanciati nuovi appelli da parte di alcune Organizzazioni non governative sudafricane, che operano nel settore umanitario in Sud Sudan. Lamentano la quasi totale assenza del rispetto dei diritti umani. Anche la Commissione per i diritti umani delle Nazione unite ha più volte sottolineato come in questo Paese venga colpita la popolazione civile a seconda della loro origine etnica. Insomma, il Paese è ad alto rischio genocidio.
E Christopher Allen non voleva tacere, voleva che il mondo conoscesse la sofferenza di questa gente, dei bambini dei Nuer, dei Dinka, di tutta la popolazione di questo giovane, infelice Stato.
La Foreign Correspondents’ Association of East Africa (FCAEA) e la Foreign Correspondents’ Association of Uganda (FCAU) hanno espresso il loro dolore per la perdita del giovane collega. Le due associazioni hanno richiamato tutte le parti coinvolte nel conflitto in Sud Sudan di rispettare le leggi internazionali che prevedono anche la protezione dei civili, inclusi i giornalisti.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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