Franco Nofori
Mombasa, 29 agosto 2017
Riccardo è nato due anni fa a Mtwapa, Kenya, da Fulvio Alberto Leone e dalla sua convivente africana. Insieme alla madre il piccolo è rimasto ora privo di sostentamento dall’arresto del padre, da parte della polizia keniana, nell’aprile scorso. (http://www.africa-express.info/2017/04/02/arrestati-kenya-tre-italiani-su-mandato-di-cattura-internazionale/) . Sette giorni dopo l’arresto Leone è stato estradato e tradotto nel carcere di Civitavecchia, dove si trova tuttora. (http://www.africa-express.info/2017/04/09/kenya-gli-arrestati-italiani-estradati-prima-pattuglia-di-un-gruppo-numeroso/)
Fulvio Leone, originario di Genova, era in Kenya fin dal 1994. Su di lui pendevano due condanne emesse dai tribunali di Torino e di Genova per un cumulo di reati che totalizzavano una pena complessiva di dieci anni. Si trattava di reati commessi nel 1983 quando, l’oggi sessantanovenne Leone, aveva 34 anni. Nelle more del lungo iter giudiziario, è riuscito a rifugiarsi in Kenya sottraendosi così alla detenzione, senza immaginare che il braccio lungo, lento, ma inesorabile della giustizia italiana, l’avrebbe raggiunto per fargli scontare la sua pena.
Fin qui il puro resoconto dei fatti. Occorre aggiungere che, dopo il trasferimento in Kenya, Leone, a detta di chiunque lo conosceva, ha sempre tenuto un atteggiamento rispettoso e corretto. Era conosciuto in Kenya, all’interno della comunità italiana – e di quella locale – per la sua inesauribile allegria e generosità, conquistandosi così la benevolenza e la simpatia di chiunque ha avuto a che fare con lui. Tutti, fino all’arresto, erano all’oscuro dei suoi trascorsi illeciti.
Per un po’ di anni ha gestito con soddisfacenti risultati il “Ristorante-Pizzeria Giardino” a Bamburi sulla superstrada Mombasa-Malindi. Poi la generale crisi del turismo, che a partire dall’ultimo decennio ha messo in gravi difficoltà l’intero settore, l’ha indotto a cedere il locale e – al momento dell’inatteso arresto – aveva trovato lavoro come manager presso il ristorante di un amico italiano a Mtwapa. Un incarico che gestiva con responsabile efficienza.
Nel 2009 aveva chiesto ed ottenuto la cittadinanza keniana che gli è stata concessa a condizione che lui rinunciasse a quella del suo paese d’origine e solo tre anni dopo gli è stato anche rilsciato un certificato di buona condotta. Del tutto sereno ed orientato a consolidare la sua esistenza nella patria adottiva, a cavallo dell’Equatore, Leone poteva aspettarsi di tutto tranne che la giustizia italiana, 35 anni dopo, si ricordasse ancora di lui e andasse a scovarlo dove si era creato una nuova vita e aveva messo su famiglia.
Quella famiglia viveva, non nel lusso, ma nel decoro, grazie ai proventi che Leone portava a casa. Con il suo arresto, ora quella famiglia si trova improvvisamente ridotta alla fame, senza che nessuno possa prestarle aiuto a causa di capricciose, indecifrabili e burocratiche norme che hanno reso Fulvio Leone, una singolare specie di apolide. Il Kenya, reclamando che la cittadinanza conferitagli, era stata ottenuta illegalmente, si rifiuta di riconoscerlo come un proprio cittadino e l’Italia, pur tenendolo in carcere sul proprio territorio, non risulta, almeno a momento di andare in macchina, che gli abbia riassegnato la cittadinanza italiana.
Il piccolo Riccardo, pur avendo un padre ed una madre che l’hanno formalmente riconosciuto, si ritrova nei fatti, ad essere figlio di nessuno. Per un padre, per quanto colpevole e come tale chiamato dalla giustizia a rispondere dei suoi atti, l’immagine di un figlio abbandonato a se stesso, mentre lui, che dovrebbe assisterlo e proteggerlo, si trova impotente dietro le sbarre di una cella, è indubbiamnte una delle esperienze più strazianti che un essere umano possa sperimentare
Quell’Italia, generosa ed accogliente, che riceve, assiste, cura, sfama ed alloggia le centinaia di migliaia di disperati in fuga da un’Africa crudele che li induce all’espatrio forzato. Quell’Italia acclamata da quasi tutta Europa per la sua umana solidarietà, ma lasciata desolatamente sola a gestirla. Quell’Italia dal cuore tenero e caritatevole, quell’Italia, non trova un minimo spazio, per un solo, piccolo bimbo di due anni che, se non è italiano sulla carta lo è nel sangue e nel cuore.
Chi aiuterà Riccardo nella sua crescita? Capirà perché suo padre l’ha improvvisamente abbandonato? Andrà a scuola? Oppure, tra qualche anno, si ritroverà sui bagnasciuga delle immacolate spiagge coralline ad imparare il mestiere dai beach boy? Riuscirà la grande e generosa comunità italiana a far si che anche a questo incolpevole bimbo di 2 anni sia assicurato un futuro?
Franco Nofori
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