Franco Nofori
Mombasa 27 agosto 2017
Dal 1984 ad oggi le banche fallite o poste in liquidazione in Kenya, sono state una ventina, vale a dire: più o meno una ogni 18 mesi. Tra queste, anche alcuni colossi come la Trade Bank, la Trust Bank, la Billion Bank e l’Imperial Bank. Insomma, uno scenario non certo rassicurante per chi decida di affidare la custodia del proprio denaro alle istituzioni finanziare locali.
Quasi tutte queste banche, al loro esordio sul mercato, si caratterizzavano con una rapida espansione nel territorio, la disinvolta concessione del credito, un solerte servizio ad personam e il riconoscimento di interessi principeschi ai clienti più facoltosi. Naturalmente, per godere di questi benefici occorreva convertire in scellini le valute estere che ci si portava appresso. L’Imperial Bank, ad esempio, era arrivata a riconoscere ad alcuni clienti, interessi annui che sfioravano il 13 per cento.
Ricavi certamente allettanti, ma che si ridimensionano molto se si considera che, a fronte di divise abbastanza stabili come dollari ed euro, lo scellino del kenya conosce un trend di svalutazione raramente inferiore al 10 per cento annuo. Quindi, considerati i rischi, forse sarebbe più prudente mantenere i risparmi in valuta pesante, in una più affidabile banca estera e convertirli di volta in volta nella moneta locale, nella misura occorrente.
La Central Bank of Kenya, che dovrebbe attentamente monitorare le attivita e le necessarie coperture degli istituti bancari soggetti al suo controllo, non solo non si è mai ingegnata di predisporre un apposito fondo che garantisca i correntisti, ma si è sempre e soltanto limitata ad emettere continue norme, spesso contradditorie, futilimente burocratiche e finalizzate a rendere ogni operazione bancaria più complessa e disagevole con conseguente nocumento all’efficienza delle attività imprenditoriali dei clienti.
Neppure le banche con altisonanti nomi internazionali come la Barclays, la Standard Bank, la Chase bank, offrono garanzie superiori alle altre poiché, malgrado i marchi di prestigio che espongono, non hanno nulla a che vedere con le consolidate istituzioni estere, regine dei mercati finanziari interazionali, da cui prendono il nome. Una prova di questo l’ha recentemente fornita la Chase bank, che si fregiava del nome della potente Chase Manahattan Bank americana, ma che, malgrado questo, è recentemente finita in amministrazione fiduciaria, sfiorando il rischio della bancarotta, da cui si è poi fortunosamente ripresa. Tra i suoi maggioro clienti, la Chase Bank annoverava il colosso dei supermecati Nakumatt, oggi in gravi difficoltà, e molti osservatori finanziari fanno risalire le sue difficoltà, proprio a questo rapporto.
Ma oltre al sempre incombente rischio della bancarotta, le banche del Kenya, hanno anche l’assurda abitidine di gestire il denaro loro affidato, secondo criteri estremamente disinvolti che possono mettere in ginocchio o addirittura, distruggere totalmente un’azienda, impedendogli di svolgere la sua attività. Qualche anno fa un’agenzia della Barclays Bank di Mombasa, con la quale operava un connazionale, gli ha accreditato in conto un assegno emesso da un banca di Lamu, ben 22 giorni dopo la data in cui era stato versato. Alle proteste del cliente, la banca rispondeva: “L’assegno era stato tratto da una banca molto lontana e qundi ci vuole tempo per accreditarlo”
Una risposta del tutto assurda, quasi non esistesse tra le banche una quotidiana camera di compensazione e che ci fosse invece un fattorino appiedato che porta fisicamente i quattrini da Lamu a Mombasa. Malauguratamente, nel caso che riferiamo, si trattava di un importo considerevole e necessario all’interessato per procedere allo sdoganemento di alcuni container in attesa al porto di Mombasa. Il ritardo nell’accredito, aveva comportato un conseguente ritardo nelle operazioni doganali con l’aggravio di ulteriori addebiti e penalità. E si trattava di una delle più grosse ed “affidabili” banche del Kenya…
L’esperienza peggiore la sta però vivendo un altro connazionale con la filale di Mombasa della Middle Est Bank (MEB), una piccola banca, apparentemente senza mire espansionistiche, con la quale operava da più di un decennio. Si è scoperto che, all’interno di questa filiale, il direttore, la sua vice ed il cassiere al banco, si dilettavano in stretta complicità, di prosciugare i conti dei clienti più facoltosi. Adducendo vari problemi del centro elettronico di Nairobi, gli estratti conto non arrivavano mai e quando i clienti insistevano per averli venivano loro forniti documenti contraffati. Naturalmente gli assegni emessi venivano regolarmente onorati in modo da non creare sospetti. Quando le malversazioni sono state scoperte e i tre finiti in galera, la direzione della banca ha preso l’unilaterale decisone di bloccare i conti depauperati, per il sospetto che vi fossero legami di complicità tra i tre malandrini ed i correntisti loro vittime.
Dalla scoperta di questi misfatti è ormai trascorso un anno. Il connazionale di cui parliamo, insieme ad altri correntisti coinvolti nella stessa sventura,non può avere accesso nè ai conti aziendali nè a quelli personali che ammontano ad un totale di oltre 200 mila euro. In conseguenza di questo, non ha potuto onorare le sue obbligazioni, per le quali si attende di essere citato in giudizio. Sta liquidando l’azienda senza riuscire a pagare il personale e senza neppure avere il denaro occorrente per procedere a sua volta contro la banca che, forte della situazione che ha creato, se ne sta tranquilla in attesa della sua totale disfatta.
Tutto questo, induce ad un’estrema cautela nel dar vita a rapporti con le banche locali. Meglio non trasferivi capitali ingenti, ma aprire solo piccoli conti di transito da alimentare esclusivamente in ragione delle quotidiane necessità, oppure, nel caso necessitino importi di rilievo, prelevarli immediatamente dopo l’avvenuto trasferimento. Queste semplici accortezze eviteranno disastri e lacrime amare in futuro.
Franco Nofori
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