Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 23 agosto 2017
Khaled Mamdouh Mohamed Matei, reporter e fotogiornalista egiziano è stato arrestato nella sua abitazione al Cairo lo scorso 9 ottobre. All’una di notte, otto agenti della sicurezza nazionale, con i visi coperti dal balaclava e fucili automatici hanno fatto irruzione nella casa di Matei, lo hanno ammanettato, bendato sugli occhi e portato in un luogo sconosciuto.
Per ore e ore gli agenti hanno continuato a frugare nella bella casa dei coniugi Matei, devastando mobili e oggetti alla ricerca di non so cosa, ha riferito la moglie tedesca a Africa ExPress. “Era una notte bellissima, sui 22 gradi. Eravamo appena andati a letto quando sono arrivati. Hanno distrutto la nostra casa, le nostre vite”. E Judith Weber continua il suo racconto: “Gli agenti hanno sequestrato tutta l’attrezzatura di mio marito, fotocamera e macchine fotografiche con tutti gli accessori, microfoni, computer, notebook e telefoni cellulari, comprese le schede di memoria. Hanno portato via anche il mio laptop e le mie simcard”.
Il giorno seguente il reporter viene trasferito nel carcere di Tora e la procura per la sicurezza nazionale conferma la detenzione cautelare con le seguenti accuse: appartenenza a gruppo terroristico (nello specifico, visto che ci troviamo in Egitto, ai “fratelli musulmani”) e divulgazione di notizie false.
Judith viene informata dell’arresto del coniuge solo dopo quattro giorni, ma si ritiene pure fortunata, precisa nel suo racconto: “In molti casi di detenzione preventiva i familiari non hanno più notizie del proprio congiunto per settimane, a volte mesi”.
Sono passati oltre dieci mesi dall’arresto di Matei. Proprio due giorni fa è stato condannato ad altri quarantacinque giorni di galera. Da diverso tempo ormai ogni quarantacinque giorni gli accusati come Khaled vengono convocati dal procuratore per la sicurezza nazionale, che puntualmente infligge una nuova pena detentiva per lo stesso lasso di tempo. Durante i primi centocinquanta giorni a Tora, i prigionieri in detenzione cautelare, si devono presentare davanti al magistrato ogni quindici giorni, che puntualmente conferma la pena della durata di due settimane. Questo per dieci volte di seguito. Man mano che passa il tempo, le condanne, sempre provvisorie, si allungano. Un modus operandi arbitrario, che non trova alcun fondamento legale.
Judith Weber è una donna coraggiosa e forte; non si è mai arresa e continua a combattere per il suo uomo, anche se ora, dietro consiglio delle autorità tedesche, ha lasciato l’Egitto. Ha bussato a mille porte per avere aiuto, sostegno. Grazie ai contatti suggeriti da Amnesty International ha trovato una porta aperta presso Media Legal Defence Initiative con sede a Londra, che a sua volta l’ha indirizzata all’ Egyptian Comittee for Right and Freedom (ECRF) del Cairo. L’ECRF ha garantito alla coppia l’assistenza legale per tutto il periodo di detenzione del marito di Judith. Durante ogni apparizione davanti al procuratore per la sicurezza nazionale è richiesta la presenza di un avvocato, un onere che oggi come oggi la coppia non potrebbe permettersi.
Khaled è nato nel 1971 al Cairo. Nel 2008 ha iniziato la sua carriera professionale come reporter e giornalista fotografico presso giornali egiziani. Nel 2009 ha lavorato anche per un emittente televisiva sportiva e nel 2010 ha partecipato alla realizzazione di un documentario per l’NTN. Fino al suo arresto ha collaborato con diversi settimanali, ma lavorava anche come reporter e fotogiornalista freelance
Non ci sono parole per descrivere la putrida galera di Tora. In quel luogo non c’è nulla di umano, violenze e supplizi fanno parte della quotidianità. Succede che le celle vengano devastate dagli agenti di sicurezza durante i controlli; distruggono non solo i pochi e poveri averi dei malcapitati, ma anche i generi alimentari che i familiari portano ogni qualvolta viene loro concesso una visita.
“Mio marito è un uomo distrutto, sia fisicamente e che moralmente. Pesa ormai solo quarantacinque chilogrammi ed è alto un metro e ottantacinque centimetri. Un’ulteriore perdita di peso potrebbe compromettere la sua vita. Malgrado tutti gli sforzi messi in campo, finora non gli è stato concesso alcun trattamento medico. Sono mesi che mio marito non riceve visite”, precisa Judith e dopo un sospiro profondo continua il suo racconto: “Io mi trovo all’estero e dunque non c’è nessuno che possa portagli del cibo decente, la sua vita dipende dal buon cuore dei compagni di cella, che condividono con lui di tanto in tanto ciò che ricevono dai propri parenti. A volte è costretto a consumare i pasti che passa la prigione, una specie di poltiglia dagli ingredienti incerti”.
I prigionieri possono acquistare settimanalmente sigarette, snakes, succhi di frutta e bibite gasate, grazie al denaro che viene inviato o portato dai familiare. In particolare le sigarette sono ottima merce di scambio. Servono principalmente per ricompensare i favori dei compagni di cella oppure “concessioni” fatte dalla polizia penitenziaria.
L’Egitto si posiziona ormai al terzo posto a livello mondiale per il numero di giornalisti imprigionati. Il primato è detenuto dalla Cina, mentre la Turchia occupa il secondo posto di questa triste classifica.
L’ECRF e l’avvocato di Khaled sostengono che dal materiale sequestrato dagli agenti della sicurezza nazionale il giorno del suo arresto non sarebbero emerse prove contro di lui. Purtroppo non c’è alcun atto giudiziario che lo possa confermare. Intanto Matei continua a marcire in prigione, senza sapere quando finirà questo calvario, mentre la moglie non cessa la sua battaglia per il marito dall’estero.
La coppia si è sposata nel 2014, Judith era già nel Paese per motivi di lavoro da parecchi anni. Durante la sua ultima visita in Egitto, la moglie ha portato con sé il loro gatto, che ora è accovacciato sulle sue ginocchia, come se volesse proteggere la padrona con il suo dolore, la sua sofferenza, la sua dignità.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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