Dal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 21 agosto 2017
La polizia spara ad altezza d’uomo sui dimostranti che chiedono la restaurazione dei valori costituzionali negati dal presidente del Togo Faure Gnassingbé che, instauratosi alla morte del padre, Eyadéma, ha di fatto trasformato, sin dal 1967, la pretesa Repubblica Democratica Togolese, in una sorta di dinastia monarchica. I violenti scontri avvenuti ieri nella capitale Lomè fanno al momento registrare sette vittime e decine di feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni.
Piccolo gioiello naturale incastonato tra Ghana, Benin e Burkina Faso, il Togo, pur nella sua limitata estensione di soli 57 mila km quadrati, (un sesto dell’Italia) offre una stupenda varietà paesaggistica. Dalle vaste spiagge atlantiche alle incontaminate e lussureggianti foreste dell’interno. In questo pressochè intatto scenario primordiale vivono 6 milioni di abitanti di prevalente religione animista. All’apparenza sembrano pochi, ma sono il frutto di un poderoso incremento demografico poiché nel 1960, alla proclamazione dell’indipendenza dal dominio francese, non superavano il milione e duecentomila unità.
Il Togo, date queste condizioni, potrebbe costituirsi in una terra idilliaca, ma anche qui la pervicace metastasi che avvelena il continente africano, non ha rinunciato ad annoverarla tra le proprie vittime. Il primo colpo di stato, che depose l’allora presidente Sylvanus Olympio, avvenne solo 4 anni dopo l’ottenuta indipendenza quando Olympio fu ucciso e rimpiazzato dal suo primo ministro Nicolas Grunitzky che, a sua volta, tre anni dopo, fu deposto da Étienne Eyadéma, un semplice sergente dell’esercito che instaurò un regime monopartitico e fortemente autarchico .
La forte avversione vero l’occidende, portò Eyadéma ad espropriare tutte le attività gestite dai bianchi e non solo: impose a tutti i concittadini che avevano un nome di battesimo europeo di sostituirlo con un equivalente togolese. Egli stesso cambiò il proprio nome da Étienne Eyadéma, in quello di Gnassingbé Eyadéma. Secondo alcuni osservatori questo rancore verso i vecchi dominatori francesi, derivava dal fatto che, durante il loro controllo dell’esercito, non l’avevano mai promosso ad una grado superiore, relegandolo a quello di semplice sergente.
Durante il suo regime, Eyadema, si comportò come il peggiore dei dittatori, soppresse le libertà di espressione, il libero associazionismo ed applicò criteri di giustizia feudale. Comportamenti, questi che, sotto le forti pressioni internazionali, lo costrinsero, nel 1990, a dimettersi lasciando l’incarico ad interim al proprio primo ministro. Ma la rinuncia ai privilegi del potere, assaporati così a lungo, dovette risultargli inaccettabile perché immeditamente dopo, l’esercito, da lui controllato, diede vita a vere e proprie azioni terroristiche tra cui il bombardamento dell’abitazione del primo ministro, attentati ed uccisioni di esponenti politici, funzionari sindacali, giornalisti e altre organizzazioni che gli si opponevano.
Questi atti crearono nel paese un’atmosfera di terrore e molti cittadini fuggirono per rifugiarsi nei paesi confinanti, Ghana e Benin. Il Togo si trovò così alla soglia di una guerra civile che fu scongiurata solo grazie al ricorso alle elezioni generali del 1993 che approdavano finalmente ad un sistema multipartitico. Ma anche questo appello all’elettorato finì per rivelarsi una farsa perché, grazie a probabili brogli ed intimidazioni, Gnassingbé Eyadéma vinse addirittura con il 96% dei consensi.
Il Togo che peraltro solo un anno prima si era dotato di una Cosituzione democratica, si ritrovò così al potere lo stesso dittatore che l’aveva soggiogato per 16 lunghi anni e che mostrò subito di non aver perso le sue velleità egemononiche. Compì una nutrita serie di intimidazioni e di attività antidemocratiche, tra cui ripetute alterazioni della carta costituzionale che, praticamente, gli garantivano il diritto di “regnare” a vita. Una garanzia che però non riuscì a sconfiggere il potere del fato che nel 2005 lo portò alla morte per un infarto.
A termini costituzionali ed in attesa di un nuovo processo elettorale, avrebbe dovuto succedergli il portavoce del parlamento che doveva porsi alla guida di un governo di transizione della durata massima di 60 giorni, ma un altro colpo di Stato, attuato con la complicità del parlamento, portò invece al potere Faure Gnassingbé, rampollo del dittatore scomparso, il quale, da bravo “figlio d’arte”, seguì pedissequamente le orme paterne e tra operazioni di maquillage politico, alternate a feroci rappresaglie contro gli oppositori (sempre taciute dalla stampa togolese) riuscì a conservare il potere che detiene tutt’oggi a scapito di un popolo che da ormai quasi 60 anni invoca quella l’ibertà e quell’auto determinazione attese all’indomani dell’ottenuta indipendenza.
Franco Nofori
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