Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 18 agosto 2017
Tre kamikaze si sono fatti esplodere martedì nel nord-est della Nigeria, uccidendo ventisette persone e ferendo altre ottantatré, ovviamente il bilancio è ancora provvisorio. Gli attentati non sono ancora stati rivendicati, ma portano l’evidente firma dei sanguinari terroristi Boko Haram.
Martedì mattina una donna si è fatta esplodere vicino ad un mercato di Maiduguri, capoluogo del Borno State, che è stato teatro di moltissimi attentati simili negli ultimi anni. Altri due attacchi, sempre ad opera di due giovani donne suicide, si sono verificati all’entrata di un campo per sfollati non lontano dalla città.
Altri due attentati si sono verificati lunedì notte nell’Adamawa State, sempre nel nord-est della ex colonia britannica. Gli abitanti delle comunità Nyibango e Muduhu sono fuggiti dopo l’arrivo dei miliziani, che hanno saccheggiato la case, portando via le provvigioni di cibo e poi le hanno incendiate. Yusuf Muhammed, responsabile del governo locale di Madagali, ha ricordato che solo pochi giorni prima un attacco simile è stato messo in atto a Mildu, un villaggio nelle vicinanze degli altri due. Durante tale incursione dei Boko Haram sono state uccise sette persone. Certo, interessa poco il destino di questa gente, la lotta alla ricerca fabbisogno quotidiano, la miseria che li spoglia persino della loro identità.
Il governo nigeriano non è ancora assolutamente in grado di garantire protezione alla popolazione civile. Dal mese di giugno ad oggi sono state barbaramente ammazzate centoquarantatré persone, senza contare i morti di martedì.
Muhammadu Buhari, che ha vinto le elezioni presidenziali nel 2015 a più riprese ha fatto sapere che la distruzione totale del gruppo terrorista era vicina. Intanto il tempo è passato e dal 2009, anno nel quale sono comparsi per la prima volta i Boko Haram, oltre ventimila persone hanno perso la vita, 2,3 milioni hanno dovuto lasciare le loro radici, i loro villaggi, ed ora i più sono senza lavoro, allo stremo. Molti bambini e giovani non possono frequentare le scuole, il servizio sanitario è carente, a volte addirittura inesistente. I giovani sono disoccupati, molte donne sono costrette a prostituirsi pur di portare un pezzo di pane a casa.
Mentre Buhari si trova a Londra da oltre novanta giorni per terapie mediche – non è dato di sapere di quale patologia soffra, perché la sua malattia viene custodita come un segreto di Stato – i suoi oppositori chiedono le sue dimissioni immediate. Da tempo gira in rete l’hashtag #ResumeOrResign e i cittadini chiedono maggiori dettagli sull’assenza del presidente, trasparenza sulla sua malattia, ma il partito al potere, l’ All Progressives Congress, e Yemi Osinbajo, il vicepresidente, che da mesi ha in mano il timone del Paese, tacciono. In un comunicato di pochi giorni fa Buhari ha evidenziato: “Mi sento bene, sono pronto per tornare a casa, ma sono in mano ai medici. Ho imparato ormai che devo obbedire e non solo pretendere di essere obbedito”. Difficile crederci, visto che Buhari è un ex militare, che ha organizzato un colpo di Stato del 1983.
Sta di fatto che da quando l’ex putschista è al potere, la situazione economica generale nel Paese è peggiorata, malgrado le sue promesse pre-elettorali, Difatti nel 2016 oltre 3,7 milioni di nigeriani hanno perso il loro posto di lavoro. Un Paese ricco di petrolio, ma con la corruzione che si espande come la peste, e dove una grande fetta della popolazione vive in povertà estrema.
Solo due giorni fa è stato attaccato l’edificio di Abuja dell’Economic and Financial Crimes Commission (EFCC) (Commissione contro i crimini di corruzione economica e finanziaria) da alcuni uomini armati. Fortunatamente sono stati fermati dal personale addetto alla sicurezza, ma hanno lasciato un biglietto con minacce di morte indirizzato a Ishaku Sharu, uno degli investigatori capo della commissione. Sharu sta attualmente indagando su alcuni politici e ex militari sospettati di essere coinvolti in casi di corruzione.
Lo scorso mese di giugno un altro membro dell’ufficio anti-corruzione di Port Harcourt, capoluogo del Rivers State, è stato ferito da alcuni proiettili (http://www.africa-express.info/2017/06/30/nigeria-tra-corruzione-miseria-e-boko-haram/).
Da giorni alcune centinaia di residenti delle comunità di Belema and Offoin-Ama nel Rivers State stanno bloccando gli impianti petroliferi della Shell ad Akutu Toru nel Delta del Niger, chiedendo posti di lavoro e infrastrutture. Il Delta del Niger rappresenta la cassaforte della Nigeria, perché ricchissima di oro nero, eppure la maggior parte della popolazione non ha mai tratto beneficio dall’estrazione del greggio. Anzi in cambio ha ricevuto solo miseria e devastazione ambientale.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
Dalla Nostra Corrispondente di Moda Luisa Espanet Novembre 2024 In genere succede il contrario, sono…
Dal Nostro Corrispondente di Cose Militari Antonio Mazzeo 20 novembre 2024 Nuovo affare miliardario della…
Speciale per Africa ExPress Costantino Muscau 19 novembre 2024 "Un diplomatico francese sta rubando i…
Speciale Per Africa ExPress Eugenia Montse* 18 novembre 2024 Cosa sapeva degli attacchi del 7…
Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes 18 novembre 2024 Un tribunale di Pretoria ha…
Speciale per Africa ExPress Sandro Pintus 17 novembre 2024 Continua in Mozambico il braccio di…