Chi sono i mungiki, la setta ricomparsa negli scontri in Kenya dov’è tornata la calma

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Maina Njenga considerato l’ex capo dei Mungiki al momento dell’arresto

Africa ExPress
Nairobi, 15 agosto 2017

Oggi giornata tranquilla in tutto il Kenya.
I quartieri di Nairobi dove nei giorni scorsi sono scoppiati tafferugli
si sono rianimati, ma non del tutto.
Un certo numero di esercizi commerciali è comunque rimasto chiuso ma per il resto
il business è ricominciato. Per le strade però resta una grande tensione.

A Mathare, quartiere che al 90 per cento ha votato
per il leader dell’opposizione Raila Odinga,
anche i kikuyu (fedeli invece al presidente uscente rieletto,
Uhuru Kenyatta) si mescolavano alla folla: “Per ora tutto

calmo – ha commentato John Kamau, guidatore di boda-boda, cioè moto taxi, senza nascondere
il suo cognome tipicamente kikuyu – aspettiamo però domani”.

Domani, infatti è previsto un comizio di Raila Odinga durante
il quale il candidato sconfitto dovrebbe annunciare nuove azioni di lotta.
Intanto negli scontri di questi giorni la popolazione ha denunciato
attacchi subiti dai mungiki, la setta che si rifà
al movimento dei mau-mau, i ribelli che negli anni 50 hanno lanciato la guerriglia
per l’indipendenza del Kenya dalla corona britannica.

Il nostro corrispondente da Mombasa, Franco Nofori,che conosce bene
il Kenya, perché ci vive da anni, spiega bene chi sono i mungiki. 

Africa ExPress
twitter @malberizzi

francoDal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 15 agosto 2017

Gli scontri dei giorni scorsi avvenuti prevalentemente negli slum di Nairobi dopo la proclamazione dei risultati elettorali dell’8 agosto, hanno fatto riapparire il nome di una setta sanguinaria e ben organizzata: quella dei mungiki, che in lingua kikuyu significa “gente unita” o “fratellanza di persone”, un gruppo che si forma attraverso segreti riti di iniziazione e di giuramenti secondo gli schemi di molte società esoteriche, numerose soprattutto nell’Africa centrale,

I mungiki (la “g” si pronuncia dura) sono divenuti noti al pubblico internazionale verso la metà degli anni ’80 costituendosi esclusivamente all’interno dell’etnia kikuyu, irriducili avversari dell’allora governo di Daniel arap Moi di etnia kalenjin, ma in realtà le loro origini o i loro riferimenti, vengono fatti risalire all’epoca dei mau-mau, i feroci combattenti per l’indipendenza del Kenya, sorti negli anni ’50, che si riconoscevano nel loro capo ideologico, Jomo Kenyatta, primo presidnte del Kenya al termine dell’occupazione britannica.

Maina Njenga considerato l’ex capo dei Mungiki al momento dell’arresto
Maina Njenga considerato l’ex capo dei Mungiki al momento
dell’arresto

L’attività dei mungiki è di natura politico-religiosa e tende a restaurare tutte le tradizioni tribali del passato, tra cui la mutilazione genitale femminile, le antiche credenze fideistiche e le pratiche di stregoneria. Naturale che, in linea con questi propositi, i mungiki, rifiutino il cristianesimo ed ogni progetto di modernizzazione sociale portato dall’occidente, esattamente secondo lo schema perseguito dai loro antenati: i mau-mau. Come loro, portano i capelli lungi ed intrecciati (con i dreadlock, i nodi tipici dei Rasta), si dipingono il volto che segnano con cicatrici tribali e rifiutano l’abbigliamento occidentale che li porta anche ad escludere la biancheria intima.

Dapprima, la loro attività, si è dedicata soprattutto al restauro degli antichi costumi tribali e si è svolta nelle campagne del Rift Valley, dove divennero anche i protettori dei diritti e delle aspettative delle genti di etnia kikuyu che pertanto, in un primo tempo, li videro  favorevolmente, finché realizzarono che l’aiuto dei mungiki non era disinteressato, ma, in linea con la metodologia mafiosa, comportava un indissolubile legame con la setta e l’obbligo di sostenere la stessa, nella misura che veniva richiesta.

Man mano che la struttura dei mungiki cresceva ed acquistava potere, fu chiaro ai loro capi che le campagne del Rift Valley, non fornivano un’adeguata potenzialità alla loro affermazione e decisero così di trasferirsi nella capitale dove si insediarono nello slum di Mathare, il secondo per ampiezza a Nairobi dopo quello di Kibera. Qui si diedero un’efficace struttura operativa articolata in cellule di 50 membri, ciascuna suddivisa in 5 plotoni e – abbandonato l’abbigliamento tribale ed i capelli lunghi – assunsero una connotazione più economica che religiosa. Tutti gli abitanti della slum dovettero pagare ai mungiki una somma per assicurarsi la loro protezione e questo consentì alla setta di allargare la propria attività alla gestione dei matatu (pulmini per il trasporto pubblico); lo smaltimento dei rifiuti; l’edilizia; i bagni pubblici e altre attivita criminali come il racket e le violenze di natura etnica.

Agli inizi del governo di Mwai Kibaki (anche lui kikuyu), i mugiki godettero, se non di una vera protezione, almeno di una blanda tolleranza, finché la spietatezza e la fequenza delle loro azioni, li portò ad un troppo esteso controllo del territorio. Verso la fine del 2002 vi furono violenti scontri tra i mungiki e gli operatori dei matatu che volevano sottrarsi all’esosa contribuzione loro imposta. L’esito di queste violenze costò la vita ad oltre 50 persone e nello stesso anno, il governo si trovò costretto a mettere al bando la setta come organizzazione criminale.

I munguki, però, non apparvero ancora domati e nel febbraio dell’anno successivo diedero corso a violenti scontri con le forze di polizia che lasciarono sul campo 74 appartenenti al loro gruppo e due agenti. Malgrado questo, parve però che il governo sottovalutasse ancora il pericolo mungiki, finché nel 2007, una serie di omicidi nello slum di Mathare di conducenti di matatu e di oppositori, provocò una vasta risposta delle forze di sicurezza che si concluse con oltre cento vittime.

Uno dei gruppi Mungiki ricomparsi nello slum di Mathare nei giorni scorsi
Uno dei gruppi Mungiki ricomparsi nello slum di Mathare nei giorni scorsi

Secondo alcuni ex affiliati al movimento, la setta dei mungiki, all’apice della sua affermazione, contava oltre 500 mila membri, ma data la segretezza dell’organizzazione, imposta ai suoi aderenti pena la morte, è impossibile confermare l’esattezza di questo dato, così come è impossibile conoscere i capi che la guidavano. Certo è che le loro strategie non erano improvvisate, ma ben studiate nei particolari ed attuate con determinata efficienza. Stando ad alcuni qualificati osservatori del fenomeno, sembra che i mungiki fossero riusciti ad infiltrarsi nei principali centri di potere: il parlamento, la polizia e perfino le corti di giustizia.

Gli unici leader mungiki identificati come tali, furono Maina Njenga (47 anni) e suo fratello Ndura Waruinge, Il primo è oggi un politico che milita nel Kenya Solidariety Movement e suo fratello è diventato un pastore protestante. Njenga fu arrestato subito dopo i massacri di Mathare nel 2007, ma alla vigilia della comparsa in corte, tramite il suo avvocato Paul Muite, minacciò di rivelare tutti i nomi dei politici coinvolti nelle attività dei mungiki e mircacolosamente, la Procura Generale, lasciò cadere tutte le accuse, rimettendolo in libertà. Nel 2010 il corpo di sua moglie, Virgina Nyako, fu trovato senza vita e orrendamente mutilato.

Fino a pochi giorni fa il potere dei mungiki, pareva in forte declino, ma la loro violenta ricomparsa a Mathare, durante i disordini post elettorali, non può che creare uno scenario di ulteriore apprensione.

Franco Nofori
franco.Kronos1@gmail.com
@Franco.Kronos1

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