Franco Nofori
Mombasa, 10 agosto 2017
A Mombasa, come a Malindi, a Kilifi ed anche a Nairobi, c’è un’atmosfera all’apparenza idilliaca. Circolazione quasi inesistente, scarsissimi i matatu (pulmini per il trasporto passeggeri) e poca gente per le strade. I centri commerciali sono aperti e lo sono anche quasi tutti gli esercizi all’interno, che, però sono quasi deserti. Il clima è teso, ma anche d’attesa. La gente o si è trasferita altrove prima del voto o se ne sta in casa davanti al televisore per informarsi su ciò che sta accadendo.
Sembrerebbe di vivere in un’atmosfera di totale serenità, ma le tensioni che percorrono questo silenzio sono palpabili nell’aria. Nella conferenza stampa di questo pomeriggio, Raila Odinga si è auto-proclamato nuovo presidente del Kenya perché – ha detto – i riscontri cartacei redatti dai centri di raccolta del voto, confermerebbero le sue precedenti asserzioni sulle manipolazioni dei risultati.
Questa mattina, in stretta sucessione l’una dopo l’altra, vi sono state le attese conferenze stampa degli osservatori intenazionali del Commowealth, dell’Unione Europa e del gruppo USA capeggiato da John Kerry. Vi è stato un generale compiacimento sullo svolgimento della giornata elettorale e sulla maturità dimostrata dagli elettori che hanno esercitato il loro democratico diritto, con diligenza e calma. Nessuno degli oratori si è lasciato trascinare più di tanto nelle sabbie mobili create dalle rivendicazioni del NASA. Tutti hanno tuttavia assicurato i media che l’IEBC (la Commissione Elettorale) ha preso debita nota di tali rivendicazioni e che, da quanto gli osservatori hanno potuto verificare, l’Istituzione che dovra proclamare il vinvitore, possiede tutte le competenze e gli strumenti necessari, per giungere a conclusioni di assoluta trasparenza.
In questo clima teso , sorprende il quasi assoluto silenzio degli avversari. Nè Uhuru Kenyatta né il suo vice William Ruto e neppure altri titolati rappresentanti dell’alleanza Jubelee, non risulta abbiano finora rilasciato pubbliche dichiarazioni che contestino le affermazioni di Raila Odinga. Silenzio, questo, che, come c’era da attendersi, viene interpretato in modo diametralmente opposto dalle rispettive tifoserie partitiche: per i sostenitori di Kenyatta, è un silenzio che esprime lo sdegno di fronte a così grossolani ed infondati attacchi; per gli avversari è invece l’imbarazzato silenzio dei colpevoli colti con le dita nella marmellata.
Dopo l’ingresso, nel 1992, del sistema multipartitico, questa è la settima volta, includendo il referendum costituzionale, che il popolo keniano è chiamato alle urne. Se ogni volta dovrà ancora farlo angosciato dal sospetto e dalla paura, il paese e le sue pretese aspirazioni verso una democrazie reale, risulteranno gravemente frustrate.
Al di là di tutto c’è da augurarsi che questa situazione di calma indotta, non si prolunghi troppo a lungo perché ricorda la crescente pressione di una caldaia a rischio di esplodere . Tuttavia, almeno per ora, si può godere di un Kenya che poteva solo appartenere alle più ottimistiche fantasie oniriche: nessuna congestione del traffico, nessuna coda negli uffici o nei negozi, nessun assillante impegno cui attendere con urgenza.
Franco Nofori
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