AFRICA

Kenya: saltano i nervi con l’inviato di Africa ExPress, poi tutto si chiarisce

Dal Nostro Inviato Speciale
Franco Nofori
Kilifi, 8 agosto 2017

Elicotteri volteggiano in cielo monitarando il processo elettorale e lunghe code si snodano davanti ai seggi c’è qualche scaramuccia, anche con feriti, in alcune località della costa, ma non si tratta di confronti tra opposte fazioni, sono il frutto di tentativi di passare davanti agli altri votanti in coda. Gli animi sono riscaldati e la lunga attesa non contribuisce a placarli. Gente che si è presentata ancora prima dell’apertura del seggio, fissata alle sei di questa mattina, si è trovata ancora in coda a mezzogiorno ed oltre.

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L’ammisione al voto avviene attraverso una procedura bizantina. Dopo alcuni sedi elettorali minori, ci troviamo ora a Kilifi che, per importanza, è la seconda contea della costa. Un enorme cartellone appeso al muro indica a quale delle sei file in attesa ci si deve accodare. Sembra semplice ma non lo è. I nomi sul cartello sono più di un migliaio e sono scritti in piccolo, tanto che le righe più in alto risultano illeggibili a molti. Quando poi, dopo ore ed ore, si arriva finalmente alla postazione di verifica, comincia un altro estenuante iter: un addetto controlla il nostro documento che va a cercare su un lungo elenco in sue mani, un altro rileva l’impronta digitale, un altro ancora fa firmare un registro e l’ultimo consegna 6 fogli, piegati longitudinalmente. Serviranno per il rinnovo delle cariche del presidente, del governatore, del senatore, del membro del parlamento, della rappresentante femminile e del consigliere locale.

Finalmente si accede al gabbiotto in cui si potrà esprimere il voto. Fatto questo, ripiegati nuovamente i fogli, questa volta anche nel senso orizzontale, si infileranno finalmente in ciascuno dei box previsti e, dopo aver ricevuto una pennellata d’inchiostro su un dito, a riprova di aver già votato, si potrà tornare a casa. In Italia ci si lamenta della bassa partecipazione al voto, ma se noi dovessimo passare attraverso le stesse procedure adottate in Kenya, credo che l’affluenza alle urne si ridurrebbe a poco più del 10 per cento.

Tutto sommato, però, le operazioni di voto sono svolte in modo tranquillo, almeno nei seggi che ho visitato, sotto gli occhi vigili di un nutrito gruppo di poliziotti. Vista così, ordinamente allineata, paziente e silenziosa, la gente del Kenya sembra più che pacifica. Possibile che sia quella la stessa gente che può fare di colpo esplodere le violenze già sperimentate nel dopo elezioni del 2007? Certo è che i leader dei partiti a confronto, fanno ben poco perché questa calma sia conservata. Nelle dichiarazioni pubbliche esortano alla non violenza e all’accettazione dei risultati, ma intanto, sfornano ogni giorno notizie che sembrano mirate ad esacerbare gli animi scatenandoli gli uni contro gli altri.

Una di queste è arrivata ieri, nel giorno da dedicare alla riflessione. Giorno un cui tutti gli appelli agli elettori erano proibiti, ma la scaltrezza dei politici sa ricorrere ai più sofisticati escamotage. Infatti un sito africano di breaking news ha diffuso (proprio ieri) la seguente notizia: “Raila rivela chi ha ucciso l’ingegnere informatico Chris Msando” (http://www.africa-express.info/2017/07/31/l8-agosto-il-kenya-vota-seviziato-e-assassinato-il-vicecapo-della-commissione-elettorale/).

Un titolo è di sicuro effetto salvo, però, che nel testo che segue non c’è nessuna “rivelazione”, ma soltanto l’accusa, priva di ogni sostegno concreto, che ad ordinare l’uccisione dell’alto funzionario della Commissione Elettorale sia stata, l’alleanza del Jubelee di Uhuru Kenyatta, l’attuale presidente che si ricandida per la conferma. E’ facile immaginare quale impatto una notizia del genere possa esercitare sugli elettori a poche ore di distanza dal voto.  

Kitsao, un giriama quarantenne che fa il taxista, attende ormai da cinque ore di poter accedere al seggio. E’ rilassato e non mostra cenni d’impazienza. Cosa ti attendi da questo voto? “Abbiamo bisogno di ripartire da zero – risponde – il Kenya non può più andare avanti così. Ci vuole un forte cambiamento. Soprattutto qui sulla costa, non c’è lavoro e i giovani prendono cattive strade.”

Abbandono temporaneamente il seggio, dove tutto pare svolgersi regolarmente e mi concedo un boccone in uno dei ristoranti cittadini. Al tavolo accanto, due voluminose signore africane parlano di politica e del probabile esito del voto. Il loro abbigliamento ed il fatto che la conversazione si svolga in inglese, fa capire che appartengono ad un’elevata classe sociale. Sono entrambe kikuyu e naturalmente, auspicano la vittoria di Uhuru Kenyatta.

Parlano ad alta voce con l’evidente scopo di coinvolgere i presenti ed ottenere cenni di approvazione. Fino a che, una delle due, la più loquace, si rivolge direttamente a me e mi chiede per chi parteggio. La tessera di giornalista che ho appesa al collo, non lascia dubbi sul fatto che io sia lì solo come osservatore. Rispondo che sono straniero, quindi non voterò e non parteggio per nessuno, ma a mio giudizio, ciò di cui il Kenya ha bisogno, al di là dell’appartenenza tribale, è un uomo saggio che sappia portare il paese al benessere.

La signora strabuzza gli occhi e fa un balzo sulla sedia. “Come può avere il coraggio di dire una cosa simile? – mi chiede con ira – Voi bianchi ci avete dissanguati per quasi un secolo e lei vorrebbe di nuovo assoggetarci!?” Sono sbalordito. Cos’ho detto per provocare una tale reazione? E cosa c’entra la presa del potere da parte dei bianchi? Poi, dopo qualche scambio di battute, la cosa si chiarisce: io ho detto “wise man” che in inglese significa, appunto “uomo saggio”, ma ciò che lei ha capito è “white man” che significa, invece “uomo bianco”. La fonetica delle due parole è molto simile così, alle sue orecchie, ciò che io ho detto è suonato come: “Ciò di cui il Kenya ha bisogno, è un uomo bianco che sappia portare il paese al benessere”. Da qui la furia della signora kikuyu.

Tutto, naturalmente, si chiarisce con scambi di sorrisi e di scuse, ma questa singolare ed involontaria gag, degna di una comica da avanspettacolo, fa sospettare che in Africa un certo senso di risentimento verso i bianchi persista e che gli africani continuano a ritenerci in qualche modo responsabili del loro malessere sociale. Hanno ragione? Sì, forse, in una certa misura ce l’hanno.

Da decenni i contribuenti occidentali, continuano a riversare in Africa imponenti flussi di denaro. Ed oggi, per contrastare l’ormai ingestibile ingresso di migranti in Europa, si propongono ulteriori incrementi di aiuti. L’Africa, nel frattempo, invece di crescere ed affrancarsi da questa elemosina, deperisce sempre di più e tutti ne conoscono bene la ragione: Ogni aiuto ed ogni risorsa che approda nel continente, viene immediatamente fagocitata dalla sua insaziabile classe politica che, di qualsiasi colore si fregi, continua ad arricchirsi a dismisura avvalorando così l’adagio che “i poveri d’Europa foraggiano i ricchi dell’Africa”.

Stabilità geopolitiche, alleanze strategiche ed interessi commerciali, fanno si che questi satrapi d’Africa, malgrado le loro malefatte, continuino ad essere vezzeggiati e foraggiati da un occidente remissivo ed opportunista che blatera di solidarietà verso i diseredati dei paesi poveri, ma che, nella realtà, mira solo a proteggere il proprio tranquillo vivacchiare.

Franco Nofori
@Franco.Kronos1

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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