Simona Fossati
Nairobi, 5 agosto 2017
A pochi giorni dalle elezioni in Kenya (si vota martedì prossimo), ricompare ovunque e in abbondanza l’Ugali, il cibo base del popolo keniota, una specie di polenta bianca di mais.
Era sparito da mesi, recuperabile solo se lo potevi ordinare perché avevi un amico in qualche negozietto locale, ma al triplo del costo usuale.
Già un mese fa, per la verità, l’Ugali ha cominciato a fare la sua comparsa ogni giorno sugli scaffali di qualche supermercato, ma solo quello con il timbro del Governo, a prezzo calmierato e a quantità contingentata: non più di due pacchi al giorno. E scompariva in nemmeno dieci minuti.
Ora invece sugli scaffali abbondano, non più razionati, anche altri prodotti base come sale, riso e zucchero.
Mentre il cibo ricompare sui ripiani dei grandi supermercati, ad uno ad uno chiudono le bancarelle/negozietti frequentati dai locali. Non vogliono rischiare. Se succederà qualche cosa, i subbugli partiranno dagli slam e i gestori hanno paura di perdere tutto, dato che in questi casi le razzie sono una delle prime cose che accadano. Comunque, l’8 agosto, chiuderanno anche quei pochi ancora aperti.
Nel frattempo la maggior parte degli occidentali se ne sono andati in vacanza. Restano i diplomatici e uomini e donne strategici, sia alle Nazioni Unite (che qui impiega 5 mila persone) sia all’Unione Europea. Tutte le ambasciate hanno comunque, con riservatezza, inviato ai loro connazionali istruzioni precise di come muoversi, che cosa fare, dove andare in caso di pericolo.
Sono tutti pronti, anche se in realtà c’è un certo ottimismo tra il popolo kenyota che non vuole nemmeno pensare ci possano essere tafferugli o peggio ancora. Gli osservatori invece, inviati da molti Paesi interessati alle questioni africane e dalla stessa Unione Europea, non si pronunciano e, per il momento appunto, si limitano a osservare.
Simona Fossati
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