Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 5 agosto 2017
Il presidente uscente, Uhuru Kenyatta, kikuyu (etnia maggioritaria in Kenya), classe 1961, presidente dal 2013, è ora alla conquista del secondo mandato in questa tornata elettorale, prevista per il prossimo 8 agosto. Sicuro di se, del suo programma, raggiunge i comizi elettorali a bordo di una SUV nera e dal tettuccio aperto saluta la folla con le braccia alzate e le mani chiuse a pugno come un pugile che ha appena messo a tappeto il proprio avversario.
Kenyatta è tra gli uomini più ricchi dell’Africa e Forbes lo posiziona al ventiseiesimo posto con una fortuna stimata di cinquecento milioni di dollari. La sua famiglia è proprietaria dell’emittente TV Channel K24, del giornale “The People” e di diverse stazioni radio. Ha inoltre interessi in vari settori importanti, turistico, bancario, assicurativo e nelle costruzioni e possiede immense proprietà terriere nella Rift Valley, nelle regioni centrali e sulla costa.
Durante una manifestazione tenutasi il 27 giugno 2017 a Nairobi, organizzata dal Jubilee Party of Kenya, il cui leader è il presidente stesso, mentre il numero due è William Ruto, l’attuale e in caso di vincita anche futuro vice presidente del Paese, Kenyatta ha presentato il suo ambizioso programma elettorale:
Creazione di 6,5 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi cinque anni, abolizione delle rette per la scuola secondaria, cure gratuite durante il periodo di maternità e altri interventi nell’ambito dell’assistenza sanitaria, sovvenzioni per l’acquisto di fertilizzanti per ridurre i costi ai contadini, costruzione di cinquecento mila case a basso costo e realizzazione di cinquantasette dighe in tutto il Paese e, la solenne promessa di portare la corrente elettrica in tutte le case al più tardi durante il terzo anno dopo la sua rielezione.
Ai neolaureati sarà offerto un tirocinio di un anno circa, in collaborazione con ditte private in vari settori. Il governo finanzierà direttamente parte di questo programma, per ridurre la disoccupazione giovanile.
Uhuru è figlio d’arte. Suo padre, Jomo Kenyatta, è stato il primo presidente del Kenya, dal 12 dicembre 1964 fino alla sua morte, sopraggiunta a Mombasa il 22 agosto 1978, mentre sua madre, Mama Ngina Kenyatta, la quarta moglie di Jomo, oltre all’attuale capo dello Stato, ha avuto altri tre figli, due femmine ed un maschio.
L’attuale presidente è sposato con Margaret Wanjiru Gakuo dal 1991 che gli ha dato tre figli. Nel 2002 viene designato dall’allora presidente uscente, Daniel arap Moi, come suo successore candidato presidente dell’ex partito unico Kenya African National Union (KANU) alle elezioni, ma la sconfitta fu clamorosa. Mwai Kibaki vince la tornata elettorale con il sessantadue per cento dei voti, grazie alla coalizione dei partiti d’opposizione.
Nel 2013 Kenyatta vince finalmente le elezioni, ma con un margine relativamente basso. Si aggiudica il 50,07 per cento dei voti, appena pochi punti in più rispetto al punteggio richiesto per non dover ricorrere al ballottaggio (http://www.africa-express.info/2013/03/15/odinga-vs-kenyatta-in-kenya-dal-voto-ora-si-passa-alla-battaglia-legale/).
Quattro anni fa, gran parte del mondo politico e diplomatico occidentale era contrario alla candidatura di Kenyatta, perché incriminato dalla Corte penale internazionale dell’Aja insieme a William Ruto per crimini contro l’umanità, commessi durante le presidenziali del 2007, per altro considerate truccate dalla comunità internazionale.
Ci furono un migliaio di morti in scontri tribali tra i sostenitori dell’uno e quelli dell’altro, che allora erano su fronti opposti. Ma come succede spesso, il processo è stato accantonato per il ritiro dei testimoni. Inoltre già nel 2013, durante un vertice dell’Unione Africana, molti Paesi avevano minacciato di uscire in massa dalla CPI, classificandola come “razzista e con atteggiamenti pregiudiziali verso gli africani”.
In giugno, durante una manifestazione del suo partito, il Jubilee party, Kenyatta ha ricordato che quattro anni fa il mondo aveva dichiarato che avrebbe evitato contatti con il Kenya nel caso di una sua vittoria. Una minaccia che non è stata messa in atto. Nessun Paese al mondo, infatti, rifiuta di incontrare il presidente dell’ex colonia britannica. Nel 2013 gli Stati Uniti d’America e la Gran Bretagna avevano annunciato un rallentamento nei rapporti commerciali in caso di una vittoria di Kenyatta e Ruto. Non è accaduto.
Il Paese invece è e resta tutt’ora un tassello chiave in Africa sia in campo economico che nella lotta contro i terroristi islamici somali al-Shabaab.
Generalmente in Kenya gli elettori scelgono il candidato che appartiene alla loro etnia, perché convinti di ottenere maggiori appoggi per la regione di origine. Le etnie più rappresentate nel Paese sono le seguenti: Kikuyu, Luhya, Kalenjin e Luo. Dunque Kenyatta, un kikuyo e Ruto, kalenjin non hanno dubbi di poter contare del sostegno di membri della propria tribù.
Durante la sua presidenza, Kenyatta è stato accusato di aver intralciato la libertà di stampa. Nel 2016 un giornalista del “Daily Nation”, il maggiore quotidiano nazionale, è stato licenziato, per aver criticato in un editoriale le scelte economiche del capo dello Stato. Anche a Gaddo, uno tra migliori fumettisti kenioti, è stato dato il benservito, dopo aver pubblicato una vignetta non gradita alle autorità di Nairobi.
Dopo la sua elezione nel 2013, Uhuru aveva promesso di combattere la corruzione , ma l’attivista anti-corruzione, John Githongo, sostiene che l’attuale amministrazione sia la peggiore nella storia del Paese. Infatti in un rapporto del 2016 sulla percezione della corruzione, Transparency International, un’organizzazione internazionale non governativa che combatte il malaffare, non solo politico, ha posizionato il Kenya al centoquarantacinquesimo posto su centosettantasei Paesi e rimprovera alle autorità di lasciare impuniti i colpevoli di tali misfatti.
Durante la sua campagna elettorale il presidente ha promesso di donare computer alle scuole primarie. Infatti sotto la sua amministrazione il Kenya ha subito un forte incremento a livello informatico, con l’intento di ridurre, appunto, la corruzione. Ora si possono pagare le tasse on-line, richiedere passaporti, carte d’identità, patenti e accedere ad altri servizi governati, evitando così lunghe code agli sportelli.
Ma anche qui le critiche non sono mancate; in molti ritengono che queste iniziative non abbiano contribuito in alcun modo a migliorare la trasparenza o a combattere la crescente corruzione.
Grazie agli insegnamenti della mamma, Uhuru parla perfettamente il kikuyu, che gli permette di comunicare in modo diretto con il suo popolo, che affettuosamente lo chiama: “Kamwana”, giovanotto tradotto in italiano.
Cornelia I.Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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