Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 5 agosto 2017
Martedì 8 agosto il Kenya va alle urne per eleggere il presidente, il parlamento e i governatori . E un’elezione che tutta l’Africa guarda con estrema apprensione. Il Kenya è il Paese più stabile dell’Africa centrale, in forte crescita economica ed è uno dei pochi a non aver mai conosciuto un colpo di Stato. L’esercito qui è fedele alle istituzioni.
La lotta per lo scranno presidenziale è riservata a due concorrenti: il presidente uscente, il kikuyu Uhuru Kenyatta, e il suo sfidante, lo storico capo dell’opposizione di etnia luo, Raila Odinga. Il primo è il figlio del padre fondatore del Kenya, Jomo Kenyatta, il secondo il figlio dell’oppositore storico di Jomo, Oginga Odinga. Lo scontro dunque non è solo politico ma è anche familiare e personale. Kenyatta ha scelto come suo compagno candidato alla vicepresidenza l’uscente William Ruto, kalenjin come il dittatore storico del Kenya, Daniel Toroitich arap Moi, rimasto al potere 23 anni.
Strana accoppiata questa perché entrambi erano stati inquisiti dal tribunale penale internazionale per le violenze seguite alle elezioni presidenziali del dicembre 2007. Ma allora Kenyatta sosteneva il candidato Mwai Emilio Kibaki (che fu eletto), mentre Ruto sosteneva Raila. In Kenya si cambiano alleanze secondo le convenienze. Infatti alle ultime elezioni, nel 2013, Ruto si è schierato con Uhuru contro Raila. Infatti ha vinto ed è stato eletto vicepresidente. Il problema non sono le idee ma i posti. I posti da occupare dove si può accumulare denaro.
Per fare un esempio. Qualche anno fa fu introdotta l’obbligatorietà delle cinture di sicurezza. Si scoprì che il ministro dei trasporti, tramite una sua società, aveva importato nel Paese un paio di container pieni di cinture di sicurezza che, appena la legge fu approvata, vendette a piene mani ai veicoli che non ne erano dotati.
Raila ha invece scelto come compagno il kamba Kalonzo Musioka, anche lui un politico di lungo corso che ha cambiato alleanze un numero di volte difficile da contare, ma che alle ultime elezioni del 2013 aveva corso come vicepresidente di Raila.
Il Kenya, pur essendo uno dei Paesi più stabili del continente, è scosso da enormi problemi. Il più grosso forse è la corruzione che tutti i candidati promettono di sradicare ma che permette loro di sopravvivere e ingrassare i loro conti correnti, qui e all’estero. I metodi politici sono basati sulla compravendita di favori e di voti. La commistione tra politica ed economia è imbarazzante. Non c’è uomo politico che non faccia affari utilizzando il suo potere.
Da non sottovalutare poi l’estremismo islamico che sta crescendo ovunque non solo nella fascia costiera ma anche, grazie ai soldi provenienti dagli ambienti arabi, nelle zone tradizionalmente cristiane del nord del Paese.
L’invasione della Somalia da parte delle truppe keniote il 16 ottobre 2011 ha provocato la reazione degli islamici che, per rappresaglia, hanno organizzato diversi attentati nell’ex colonia britannica. Il più clamoroso l’attacco al centro commerciale Westgate di Nairobi, il 21 settembre 2013 dove persero la vita 67 persone. Le truppe keniote sono ancora in Somalia e i fondamentalisti Al Shebab hanno minacciato di colpire in Kenya in occasione di queste elezioni. Il timore di nuovi attacchi sanguinosi è tangibile soprattutto a Nairobi, la capitale, e a Mombasa, seconda città del Paese e snodo portuale di importanza vitale per tutta l’Africa centrale.
La minaccia ha reso ancora più teso il clima. Proprio ieri è arrivata la notizia, che in Somalia – per influenzare le elezioni in Kenya – gli islamici hanno assassinato un prigioniero di guerra, Leonard Maingi Kiiyo. Il video diffuso dagli shebab è corredato dalle ultime parole del soldato: un invito al suo Paese di ritirare le truppe.
Massimo A. Alberizzi
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