“L’urlo da Lampedusa”. Il nuoto racconta il dramma dei migranti ed è premiato con l’oro

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Manila Flamini e Giorgio Minisini, medaglia d'oro Duo misto nel sincro" ai mondiali di Budapest

Costantino MuscauDal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
Milano, 18 luglio 2017

Un urlo che veniva dal profondo dell’anima e del mare di Lampedusa, approdo e tomba di migliaia di migranti.

Poi in 2 minuti e 40 secondi hanno rappresentato tutto il dramma e la speranza di chi fugge dalle guerre, dalla fame, dalla persecuzione politica e religiosa con il sogno della libertà e di una vita solamente più umana.

E alla fine quell’urlo si è coperto d’oro e di applausi.

Il primo successo iridato ai mondiali di nuoto in corso a Budapest, ottenuto domenica mattina,16 luglio, nel duo misto sincro di Giorgio Minisini, 21 anni, e Manila Flamini, 33, va oltre la storia sportiva.

La vittoria italiana in una disciplina faticosissima che fa fatica a emergere a livello di massa e perfino di riconoscimento olimpico e dove hanno quasi sempre spadroneggiato russi e americani, è anche un messaggio di civiltà e di coraggio.

“Un urlo da Lampedusa” è il titolo dello show che la coppia ha presentato ai mondiali ungheresi. “Volevamo proporre un tema d’attualità” – commenta Manila Flamini, poliziotta, di Velletri – “Inizialmente avevamo pensato al terremoto, ma poi, su indicazione del compositore Michele Braga, abbiamo optato per il tema dell’immigrazione, che è stato ritenuto più adattabile alla durata dell’esercizio. Abbiamo iniziato con un vero urlo di Giorgio ed partito l’esercizio”.

Manila Flamini e Giorgio Minisini, medaglia d'oro Duo misto nel sincro" ai mondiali di Budapest
Manila Flamini e Giorgio Minisini, medaglia d’oro Duo misto nel sincro” ai mondiali di Budapest

La coreografia della moscovita Anastasiia Nikolaevna Ermakova, (54 anni, sincronette tra le più famose al mondo stabilitasi in Italia come allenatrice), ha stupito ed è stata eseguita alla perfezione. Tanto che per la prima volta russi e americani si sono dovuti accontentare dei gradini più bassi del podio al Varosliget Park di Budapest, dove, appunto, si svolgono i XVII campionati mondiali di nuoto (14-30 luglio).

“Abbiamo cominciato dalla fine” – racconta Giorgio Minisini, romano, anche lui atleta delle Fiamme Oro (Gruppo sportivo della Polizia di Stato) – “con lo sbarco e la morte di lei che non resiste al viaggio. Parte il flashback e ripercorriamo la storia di una coppia piena d’amore che inizia con la speranza di un approdo felice ma si conclude, purtroppo, con il dolore e la disperazione”.

Una conclusione frequentissima, alla quale purtroppo ci si è fatta l’abitudine, se non in Italia, nel resto dell’Europa, che ha lasciato solo il nostro Paese ad affrontare un’emergenza epocale. <Lampedusa è lo scoglio dove si registra il numero più alto di riconoscimenti di cadaveri in una zona non di guerra>, ha scritto l’altro giorno Pietrangelo Buttafuoco sul <Fatto quotidiano>, recensendo il libro <Appunti per un naufragio> di Davide Enia (Sellerio).

”I naufraghi che arrivano a Lampedusa sono nudi” – ha aggiunto Buttafuoco – “I lampedusani li vestono coi propri abiti e danno loro una tomba. Lo ius soli che tutti cercano è qui, nel cimitero dell’isola dove questi scappati per mare trovano una zolla e qualcuno anche un nome. Il naufrago che arriva a Lampedusa quando sta per annegare urla il proprio nome per sapersi presentare, perché solo in questo modo, galleggiando – pur sbocconcellato dalle spigole – riafferma l’essere lui una persona e non lo “zero, virgola” di un calcolo”.

La porta di Lampedusa, la porta d'Europa
La porta di Lampedusa, la porta d’Europa

Questo urlo sommerso dalle onde e dagli egoismi europei è stato raccolto e rilanciato da Giorgio Minisini, che ricorda: “Ne ho parlato con la mia partner (Manila Flamini), con lo staff del commissario tecnico della nazionale di nuoto sincronizzato (Patrizia Giallombardo), con il regista teatrale Enrico Zaccheo e il compositore Michele Braga”.

Tutti sono stati concordi, hanno appoggiato convinti questo messaggio rischiosa, divisivo specialmente in questi tempi in cui l’Italia è attraversata da dubbi e polemiche sull’accoglienza da riservare ai disperati.

Michele Braga, 40 anni, romano, è molto noto in campo musicale per aver collaborato con Piero Pelù e per le sue colonne sonore (fra tutte quella di “Lo chiamavano Jeeg Robot”). Da due anni lavora anche per la Nazionale italiana di nuoto sincronizzato per la quale ha già composto due brani: uno per i campionati mondiali di Kazan e uno per le qualifiche olimpiche di Rio (2016).

Così si è espresso Michele Braga con la Gazzetta dello Sport: “Patrizia Giallombardo mi aveva chiesto dei brani nuovo per il duo misto e per la squadra che sta gareggiando ai Mondiali di Budapest. Le dissi che avrei voluto scrivere un brano che raccontasse il dramma dei migranti, era appena affondato l’ennesimo barcone pieno di uomini, donne, bambini e molti erano morti. Sapevamo che dare un contenuto sociale e politico poteva essere anche sbagliato a livello strategico in una competizione sportiva ma ci abbiamo provato lo stesso, anche per battere un colpo nella comunità internazionale, per dire: il dramma c’è, ve lo facciamo vedere anche durante i mondiali di nuoto, è inutile che vi giriate dall’altra parte”.

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Lo show (può sembrare stonata questa definizione) lo hanno proposto in Coppa Europa il 5 maggio a Cuneo, riscuotendo i consensi della critica, dei giudici e del pubblico. Uno show sentito anche a livello familiare”.

“Il costume l’ha disegnato la fidanzata di mio fratello, Amanda Rivolta, e l’ha cucito mia mamma insieme alla sarta” – rivela Manila – “mentre il disegno è di mia nipote Camilla Argiolas, che ha otto anni. Sono delle impronte umane. E’ fatto col cuore e sembra perfetto per interpretare questa storia realistica”.

Come Michele Braga aveva previsto non tutti hanno apprezzato. Qualcuno lo ha subito definito “nuoto politicizzato”, un modo ipocrita per nascondere il veleno cripto razzista che serpeggia nel nostro Paese assieme alle legittime domande su come far fronte allo spaventoso esodo di cui siamo testimoni.

Ma, si sa, il raglio d’asino non sale al cielo. L’urlo da Lampedusa – direbbe Fabrizio De Andre’ – potrebbe travolgere il sole.

Costantino Muscau
muskost@gmail.com

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