Il 5 luglio scorso a Roma all’uscita da un ristorante l’ambasciatore dello Stato di Eritrea,
Petros Fessazion, è stato aggredito da alcune persone, quasi certamente suoi connazionali
stanchi di un regime repressivo che nega le libertà fondamentali dell’uomo.
Ma con l’ambasciatore Petros, probabilmente c’era Yemane Gebrehab, il numero due della dittatura
al potere nell’ex colonia italiana, rimasto gravemente ferito a uno zigomo.
Ma nell’ospedale romano dove è stato ricoverato non risulta nessuno con quel nome.
Che abbia dato generalità false per evitare di essere riconosciuto è assai probabile, ma, ovviamente
non è certo. Per altro la presenza di Yemane era prevista in numerose iniziative in Europa
dove il “vice-dittatore” non è comparso. Massimo Alberizzi scrive a Petros e a Yemane,
che a suo tempo l’aveva condannato a morte e fatto rapire in Somalia.
EDITORIALE
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 14 luglio 2017
Cari Yemane e Petros, desidero esprimere il mio più sincero rincrescimento per i fatti che vi hanno visti coinvolti a Roma il 5 luglio scorso: i metodi della politica non possono e non dovrebbero contemplare la violenza. Ma purtroppo nel vostro piccolo ma orgoglioso Paese l’esasperazione contro una dittatura brutale e disumana è montata a dismisura. Forse quest’episodio vi farà riflettere sulle conseguenze delle vostre scelte e dei vostri metodi di “governo”.
Come sapete, ho criticato (e critico) duramente il vostro regime con la forza delle idee, come secoli di cultura occidentale ci hanno insegnato, e mi dispiace che proprio tu, caro Yemane, abbia disposto contro di me una sentenza di condanna a morte. Anche perché io non credo che con la vostra morte, o con la mia, si possano risolvere i problemi dell’Eritrea. Nel 2017 non si può continuare a governare un Paese (tra l’altro bellissimo come il vostro) con i soprusi e il pugno di ferro.
Mettete in carcere i dissidenti, avete militarizzato la società, costringete i vostri ragazzi a un servizio di leva, avete imbavagliato la stampa, impedito lo sviluppo democratico e vi siete isolati dal mondo cercando alleanze con i Paesi più biechi del panorama internazionale: perché?
Avete costruito un regime del terrore, una società disumana senza una Costituzione, basata sulla paura, sull’arroganza di un gruppo dirigente – di cui voi fate parte – che controlla e annulla studenti e intellettuali, sulla tortura e sulla morte. Perché tutto ciò? Qual è il vostro obiettivo? Siete la leadership di un Paese splendido e affascinante che avrebbe potuto essere un esempio da imitare, un modello per tutta l’Africa. E invece avete ingannato anche i giornalisti che vi hanno aiutato a vincere la vostra guerra. Io non posso più visitare l’Eritrea da quando mi avete fatto arrestare e pochi mesi dopo mi avete condannato a morte per i miei articoli che criticavano la vostra trasformazione: da combattenti per la libertà in sanguinari dittatori.
Sì, Yemane, potrei andare da un giudice qui in Italia, denunciarti e raccontare che tu, quel signore finito in ospedale a Roma, sei quello che ha ordinato il mio rapimento in Somalia, dove sono scampato a un’esecuzione solo perché conoscevo quelli che dovevano essere i miei assassini.
Riuscii a salvarmi, gli islamici somali mi hanno graziato, ma tu e i tuoi amici li avete rimproverati perché mi avevano lasciato andare. Ora sei in Italia con la testa fracassata, mi dicono, e quando uscirai da quell’ospedale (ammesso che tu sia ancora ricoverato) tornerai in Eritrea. A massacrare di nuovo i tuoi ragazzi? A impedirgli di scappare dal Paese? La propaganda del vostro regime sostiene con enfasi che in Eritrea tutto va bene, tutto è perfetto. Ma voi, noi, sappiamo benissimo che non è vero.
Dove sono finiti in miei amici Petros Solomon, Haile Woldensaye, Mohammed Sharifo , ex ministri, o Isaac Dawit, giornalista, solo per citarne alcuni, arrestati e messi in qualche arroventata galera dell’infuocato bassopiano? E Aster, la moglie di Petros? Avete ingannato anche lei, una combattente per la libertà, una vostra compagna d’armi.
Dopo l’arresto del marito e degli altri ministri e dirigenti, il 18 settembre 2001, lei dagli Stati Uniti dov’era andata a studiare, è tornata in Eritrea nel dicembre 2003 con l’accordo di Isaias Afeworki, il vostro presidente. Le aveva garantito che non le sarebbe stato fatto alcun male. Invece appena scesa dall’aereo gli scherani del regime l’hanno arrestata. I suoi bambini, i figli di Petros (Simon, le gemelle, Zerai e Hanna, e Meaza), hanno aspettato invano la loro mamma fuori dal terminal. Chissà in quale lager sarà finita Aster. Io mi domando come fate a ingannare i vostri compagni di lotta, i vostri fratelli, quelli che, Yemane, durante la guerra di liberazione ti chiamavano Monkey, il tuo nome di battaglia con cui ti avevo conosciuto allora.
E ora temo per quelli che sono sospettati di avervi assalito. Se li rispediscono in Eritrea saranno condannati a morte. Naturalmente dopo una buona dose di crudeli torture, perché servano da esempio per altri dissidenti. Occorre impedire che vengano estradati in Africa.
E tu, caro ambasciatore Petros Fessazion, ti ricordi quando prima della liberazione del 1991 eri in Italia a rappresentare il Fronte Popolare di Liberazione dell’Eritrea e noi giornalisti tutti difendevamo la vostra battaglia per la libertà? Abbiamo fatto un tragico errore a credere in una leadership che si sarebbe trasformata in una tirannia. Purtroppo avete imparato bene le tecniche del fascismo, che vi ha governato nel doloroso Ventennio. Siete diventati il simbolo di quanto di male c’è in Africa.
L’ultima volta che ci siamo incontrati – meno di un paio d’anni fa, durante un convegno a Carrara – ti ho chiesto di intercedere con il dittatore Afeworki perché mi togliesse questa ingombrante condanna a morte. Ti ho anche invitato a scappare a rifugiarti in Italia. “Ti difenderò”, ti ho promesso. Rifletti: non è un tradimento scappare. E’ un tradimento restare, rinnegare i principi che hanno ispirato la vostra rivoluzione: libertà, uguaglianza, progresso, fratellanza. Un invito che ti rinnovo oggi, 14 luglio, giorno della presa della Bastiglia, festa della Rivoluzione Francese i cui principi dovrebbero informare qualunque uomo politico di questo pianeta: scappa, abbandona quel sanguinario regime.
Petros e Yemane, entrambi sapete tante cose di quello che accade in Africa e potreste aiutare se non a risolvere le crisi almeno a comprenderle. Un Paese come la Somalia è distrutto, anche grazie alla scellerata politica eritrea di sostegno agli shebab islamici. Perché voi che vi dichiarate progressisti e laici vi siete alleati con i sanguinari terroristi somali?
Yemane, forza; scappa anche tu. Chiedi asilo politico in Italia, denuncia le malefatte del regime. Tornerai in Eritrea da trionfatore e non da un vile massacratore, come appari oggi. Scappa, scappa.
Massimo A. Alberizzi
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