Dal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 3 luglio 2017
La notizia, diffusa dall’OCSE, l’Organizzazione Internazionale per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, informa che lo scorso 13 giugno, a Berlino, il Kenya ha sottoscritto un accordo con Germania e Italia che impegna i tre paesi ad individuare e segnalare gli investimenti, e comunque l’utilizzo di capitali illecitamente acquisiti, nei rispettivi territori.
L’accordo prevede anche due sessioni di corsi per formare squadre di investigatori in grado di accertare i reati finanziari e fiscali che includono il riciclaggio e la connivenza delle autorità che lo consentono. Il primo di questi corsi ha avuto inizio il 26 giugno a Nairobi presso la Kenya Monetary School of Studies e si protrarrà fino al 7 luglio. Allo stesso partecipano una trentina di funzionari provenienti da Tanzania, Uganda, Sudan del Sud, Ruanda, Burundi e Kenya. Il secondo corso, la cui data non è ancora stata definita, sarà invece aperto a tutti i Paesi africani che vorranno aderire all’iniziativa.
L’accordo, che da parte italiana è stato siglato da Vincenzo La Via, direttore generale del Tesoro, ha il prioritario scopo di contrastare l’evasione fiscale ed i crimini finanziari che sottraggono ingenti risorse ai paesi africani in via di sviluppo che, nell’anno 2015 sono stati stimati ammontare a 50 miliardi di dollari all’anno.
Finora, grazie soprattutto alla cooperazione italiana, son già stati formati oltre 250 investigatori fiscali provenienti da 59 paesi e l‘accordo appena sottoscritto, dovrebbe quindi sancire la determinazione del governo keniano a voler finalmente affrontare a muso duro il dilagante accaparramento di risorse da parte di individui e di gruppi che sfuggono alle imposizioni fiscali ed impiegano denaro illecitamente ottenuto per investimenti che hanno il prevalente scopo di riciclare proventi di origine criminosa.
Tuttavia, abbiamo usato il condizionale perché, anche questa iniziativa, come molte altre volte ad impressionare gli osservatori internazionali, pare essere poco più che un astuto maquillage che fa ottenere al paese il plauso dei partner occidentali, ma che, nella realtà sembra non potere o non volere intervenire sui poteri forte, politici ed economici, che rappresentano la parte preponderante del fenomeno dell’accaparramento illecito e del riciclaggio.
La costa del Kenya, ormai quasi completamente ignorata dai flussi turistici che un tempo l’avevano consacrata come destinazione privilegiata per le vacanze degli europei, oggi conosce un tremendo sviluppo edilizio che si estende soprattutto nella zona compresa tra Mombasa e i confini nordorientali del paese. Si tratta di centinaia di prestigiosi palazzi, di residence e di resort che, per la maggior parte, restano desolatamente vuoti ed invenduti.
Perché in un momento di forte recessione economica della regione, si verificano investimenti di cosi elevato valore e peraltro destinati a non produrre una ragionevole redditività? Per avere una risposta a questa domanda, basta osservare l’origine di tali investimenti.
In gran parte si tratta di faccendieri somali i cui proventi derivano dalla pirateria che per quasi un decennio, prima dell’efficace, se pur tardivo, pattugliamento delle forze navali NATO, ha messo a serio rischio la navigazione lungo le coste orientali dell’Africa. Un’altra consistente parte di questi investimenti e attuata dalle potenti gerarchie politiche del paese, dai trafficanti di droga e da altre attività criminose. Solo una minima parte proviene da denaro illecitamente trafugato dall’Europa.
Ecco perché si resta legittimamente dubbiosi di fronte alla dichiarata genuinità di questo accordo. Se il governo del Kenya voleva davvero intervenire per combattere gli illeciti finanziari commessi nel proprio territorio, avrebbe potuto agevolmente farlo già da molti anni, ancor prima di formare, a questo scopo, le squadre investigative che l’accordo prevede, viso che tali illeciti si compivano e si compiono, sotto i suoi occhi. Invece non l’ha fatto e non lo fa tuttora.
Lo farà in futuro? Forse, ma i trascorsi non autorizzano eccessivi ottimismi.
Franco Nofori
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