EDITORIALE
Massimo A. Alberizzi
Milano, 25 giugno 2017
Una fake news sta colpendo ancora il mondo dei media, ma nessuno sembra accorgersene, almeno in Italia. Da un paio d’anni la macchina del fango si è messa in moto contro il Qatar, il piccolo emirato del Golfo, un mini stato con maxi giacimenti di petrolio. Il Qatar dà fastidio ai Paesi arabi per la sua indipendenza, che esercita con assoluta spregiudicatezza, manifestata, tra l’altro, attraverso un network televisivo moderno, disinvolto e anticonformista: Al Jazeera. Non solo la rete in lingua inglese, quella che noi ascoltiamo e siamo in grado di capire e che è, comunque, secondaria, ma anche, e soprattutto, quella in lingua araba, che ha conquistato l’audience primaria nei Paesi del Profeta.
A parte le giornaliste e le anchorwoman del network che vestono all’occidentale, quasi tutte senza velo, il network in arabo è un modello moderno e brillante nel grigio e paludato panorama delle televisioni mediorientali, al cui confronto la nostrana RAI splende come una rete da premio Pulitzer. Pur essendo controllata direttamente dall’emiro del Qatar, non lesina critiche ai regimi arabi che detestano le sue cronache, le sue inchieste e i suoi reportage. Insomma, Al Jazeera fa paura perché finalmente sta formando un’opinione pubblica araba, cosa che finora, da quelle parti, nessun media aveva mai osato. Un’opinione pubblica spesso critica verso le monarchie assolute e oscurantiste e al regime autoritario egiziano (sì, quello che ancora non ha svelato come e perché è stato ammazzato Giulio Regeni). Un medium pericoloso, quindi, per chi gestisce con il pugno di ferro il potere da quelle parti del pianeta.
Gli attacchi al Qatar, quindi, non hanno niente a che vedere con la lotta al terrorismo, ma piuttosto assumono i contorni di un tentativo di bloccare una voce diversa nel panorama del Medio Oriente. Una guerra alla libertà di stampa.
Favoriti dalla conoscenza della lingua e dalla loro religione e immuni dalla diffidenza e talvolta dall’ostilità che circonda i giornalisti occidentali, i cronisti di Al Jazeera riescono a contattare fonti irraggiungibili per gli europei: gli shebab in Somalia, i Boko Haram in Nigeria, i gruppi clandestini di oppositori o di ribelli nei Paesi arabi. Intervistano i trafficanti di uomini come Mohammed Lamine Jammeh, in Libia, i rapitori di occidentali nel Sahara o salgono sulle navi sequestrate dai pirati in Somalia o nel Golfo di Guinea. Hanno corrispondenti in Israele e danno conto anche dei pareri dei dirigenti dello Stato ebraico.
Ho incontrato spesso durante i mei reportage in Africa i colleghi del servizio arabo dell’emittente e devo dire che mi sono trovato davanti a giornalisti preparati e motivati e francamente non mi parevano fiancheggiatori del terrorismo come si vogliono far passare ora.
L’accusatore principale del Qatar è l’Arabia Saudita. Esistono prove che ambienti interni al gigante arabo (magari non governativi ma comunque legati all’establishment) hanno in qualche modo finanziato e sostenuto il terrorismo. Su Africa ExPress Cornelia Toelgyes ha scritto e documentato con foto di come le bombe fabbricate in Sardegna vengano inviate a Riad e da qui dirottate alle unità saudite che assieme a gruppi legati ad Al Qaeda lottano in Yemen contro il governo.
Che oggi le guerre si combattano anche sui media non è una novità e allora Al Jazeera diventa un corpo estraneo nel mondo arabo. Come si fa ad annientarla e distruggerla? Si accusa il proprietario, cioè l’emiro e la sua famiglia, di fiancheggiare il terrorismo (senza portare uno straccio di prova) e l’emittente di essere lo strumento che giustifica il terrorismo davanti all’opinione pubblica araba. Da qui la richiesta di ieri – tra le 13 rivolte al Qatar per ristabilire rapporti diplomatici (e fraterni) con l’Arabia Saudita – di chiuderla e smantellarla.
Le monarchie arabe sunnite vogliono insinuare nell’opinione pubblica occidentale l’equazione “Qatar uguale terrorismo”. Quasi tutti hanno creduto alle storie inventate di sana pianta – e lanciate con grande enfasi dai media di tutto il mondo – sui forni crematori e sugli attacchi chimici in Siria. Notizie smentite dallo stesso Dipartimento di Stato, senza che le rettifiche trovassero gli stessi spazi sui giornali. Oggi l’opinione pubblica crede che in Siria ci siano stati attacchi chimici e che funzionino a tutto regime i forni crematori. Domani saremo convinti che il Qatar fomenta il terrorismo e così sarà giustificata la chiusura di Al Jazeera.
E gli Occidentali cosa fanno. Credono alla favoletta del Qatar terrorista e mettono il Qatar nella lista nera. La speranza e che non accettino pedissequamente che si chiuda Al Jazeera e che vengano zittiti i suoi giornalisti. Tra i falchi in prima linea il presidente americano Donald Trump. L’inquilino della Casa Bianca – come sanno tutti – non è un gran difensore della libertà di stampa che vorrebbe cancellare perfino a casa sua. E regala alla monarchia saudita 110 miliardi di dollari in armi. In armi? per difendersi da chi?
Al Jazeera in arabo intervista anche i fratelli mussulmani (accusati di collusione con il terrorismo) nemici della dittatura egiziana e dei sistemi delle monarchie del Golfo. Li tratta, come ogni giornalista dovrebbe trattarli, da interlocutori, anche se non lesina loro critiche. Insomma, Al Jazeera dagli anni ’90 fa giornalismo. E il giornalismo è nemico giurato delle dittature di qualsiasi colore.
I giornalisti di Al Jazeera sono finiti spesso nelle carceri mediorientali. Sia i reporter del servizio in arabo sia quelli del canale in inglese. In questo momento al Cairo è detenuto Mohamud Hussein, in cella dal 28 dicembre dell’anno scorso. In Egitto, come sappiamo, il giornalismo è considerato una colpa.
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Ecco i danni della propaganda a senso unico, quella che divide i protagonisti delle storie in buoni e cattivi e fa credere all’opinione pubblica che da una parte ci sia il giusto e dall’altra lo sbagliato. Quella che si maschera da informazione e insinua surrettiziamente che i confini tra bene e male siano netti. No, non è così. I giornalisti di Al Jazeera non sono terroristi, ma bravi professionisti che hanno solo una missione: informare.
Massimo A. Alberizzi
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