AFRICA

Centrafrica: 13 gruppi armati firmano la pace ma la guerra non si ferma

Speciale per Africa Exress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 23 giugno 2017

A Bria, città nel centro-est della Repubblica centrafricana (CAR)  i violenti combattimenti tra miliziani vicini agli anti-balaka (vi aderiscono per lo più cristiani e animisti) e altri, residui degli ex Séléka (guerriglieri soprattutto di fede musulmana) hanno provocato oltre cento morti e decine di feriti

Questo nuovo attacco ha avuto luogo proprio il giorno dopo la firma dell’accordo di pace tra tredici gruppi ribelli – su quattordici attivi nella ex colonia francese – e la presidenza della Repubblica Centrafricana, grazie alle mediazione della Comunità di Sant’Egidio. Le parti si sono incontrate il 19 giugno a Roma, nella sede dell’organizzazione religiosa. Il trattato prevede, tra l’alto,  un cessate il fuoco immediato, oltre al riconoscimento delle autorità elette democraticamente durante le votazioni che si sono svolte tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 (http://www.africa-express.info/2015/12/30/urne-aperte-in-repubblica-centrafricana-si-elegge-il-nuovo-presidente-si-teme-il-caos/) e http://www.africa-express.info/2016/03/02/12483/.

I diversi punti del trattato di pace sono ambiziosi. Eccone qui alcuni: i gruppi ribelli si sono impegnati a consegnare le armi nei mesi a venire – non è stata fissata una data precisa – e di riconvertirsi in forze attive della nazione oppure in partiti politici. Dal canto suo il governo s’impegna di riconoscere tutti i gruppi politico-militari e li impegna a partecipare alla ricostruzione del Paese. Tutti firmatari si impegnano affinchè sia garantita la libera circolazione delle persone e dei beni su tutto il territorio nazionale.

Una nuova speranza, forse, per la popolazione, che in questi oltre quattro anni di conflitto ha pagato un tributo molto alto. A tutt’oggi i rifugiati nei Paesi limitrofi sono ancora oltre cinquecentomila, mentre gli sfollati interni sono poco più di quattrocentottantamila, su una popolazione totale che supera appena i cinque milioni, tra loro 2,2 milioni di persone vivono in stato di necessità umanitaria. E i morti? Difficile contarli ad uno ad uno, ma sono diverse migliaia.

Come in tutti i conflitti, sono i bambini a pagare il prezzo più alto. Malnutrizione, malattie, spesso orfani di uno, se non di entrambi i genitori, campi di accoglienza che molto difficilmente corrispondono agli standard richiesti e dove per la maggior parte delle volte le scuole sono inesistenti (http://www.africa-express.info/2016/09/29/centrafrica-scuole-occupate-da-gruppi-armati-lanno-scolastico-non-comincia/).

Le organizzazioni umanitarie fanno del loro meglio, ma non basta, molto spesso le strade per raggiungere i più colpiti sono inaccessibili o troppo pericolose, perché sotto il controllo delle varie bande armate.

Un campo per sfollati in Centrafrica
Una pattuglia della MINUSCA

La crisi della Repubblica Centrafricana inizia alla fine del 2012: il presidente François Bozizé dopo essere stato minacciato dai ribelli Séléka (in maggioranza musulmani) alle porte di Bangui, chiede aiuto all’ONU e alla Francia. Nel marzo 2013 Michel Djotodia, prende il potere, diventando così il primo presidente di fede islamica della ex-colonia francese. Dall’ottobre dello stesso anno i combattimenti tra gli anti-balaka (per lo più composti da cristiani e animisti) e gli ex-Séléka si intensificano e lo Stato non è più in grado di garantire l’ordine pubblico, Francia e ONU temono che la guerra civile possa trasformarsi in genocidio. Il 10 gennaio 2014 Djotodia presenta le dimissioni e il giorno seguente parte per l’esilio in Benin. Il 23 gennaio 2014 viene nominata presidente del governo di transizione Catherine Samba-Panza, ex-sindaco di Bangui.

I primi dicembre 2013 il Consiglio di sicurezza dell’ONU autorizza con risoluzione nr. 2127 la Missione dell’Unione Africana e quella delle truppe francesi dell’Operazione Sangaris nella ex colonia francese, mentre il 15 settembre 2014 arrivano anche i caschi blu dell’ONU della Missione Multidimensionale Integrata per la Stabilizzazione nella Repubblica Centrafricana (MUNISCA). Con la risoluzione 2301 del 26 luglio 2016, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU rinnova il mandato di MINUSCA fino a novembre 2017.

Al 31 maggio 2017 MINUSCA era presente nel CAR con 13.389 uomini, così suddivisi: 12.159 personale in uniforme, tra loro 10.188 militari, 1.806 poliziotti, 165 osservatori militari, 600 membri di personale civile internazionale, 400 di personale civile locale, 220 volontari dell’’ONU.

Il 31 ottobre scorso la Francia ha ufficialmente ritirato le sue truppe dell’operazione Sangaris, che si è protratta per ben tre anni.

La MINUSCA, in questi anni di permanenza nell’ex colonia francese, spesso ha creato problemi alla popolazione e al Paese invece di risolverli e non  ha protetto efficacemente i civili. Certamente non è facile controllare un territorio grande come la Francia e il Belgio messi insieme, dove i vari gruppi armati ribelli spesso si spostano a piedi o in moto su strade sterrate o sentieri e senza sapere con esattezza quale sia il loro fine politico-militare. Gli uomini di MINUSCA sembrano molti, ma effettivamente sul campo si trova solamente poco più di un quarto del numero indicato, in quanto una parte è composta da personale amministrativo, medico, logistico, mentre altri militari si trovano in congedo, ferie, malattia o altro. Dunque il numero del personale spiegato sul terreno per far fronte alle violenze e per controllare i confini non è assolutamente sufficiente.

Ma non sempre i “pochi” caschi blu presenti, hanno svolto il loro compito all’insegna dell’onestà e della correttezza. Questa missione dell’ONU è stata travolta sin dall’inizio da vari scandali: i militari francesi dell’Operazione Sangaris sono stati accusati di molestie sessuali (http://www.africa-express.info/2015/04/30/centrafrica-militari-francesi-accusati-di-molestie-sessualiverso-minori/), faccenda orribile che ha fatto saltare più di una testa ai vertici dell’ONU (http://www.africa-express.info/2015/08/12/scandali-sessuali-e-caschi-blu-si-dimette-il-capo-della-missione-dellonu-centrafrica/) e (http://www.africa-express.info/2015/08/13/la-crisi-centrafricana-investe-anche-lonu-nel-caos-dopo-e-dimissioni-dellitaliana-che-si-occupava-di-diritti-umani/). Le truppe ciadiane, invece, sono state rimandate a casa dopo poco, perché accusate di aver usato la popolazione come scudi umani.

Recentemente soldati ugandesi sono stati incolpati di aver abusato sessualmente di almeno tredici ragazze e donne. Si tratta di militari che fanno parte della forza di intervento dell’Unione africana sostenuta dagli Stati Uniti durante la campagna per la cattura di Joseph Kony, signore della guerra capo del Lord’s Resistance Army (LRA) http://www.africa-express.info/2017/05/28/hrw-e-onu-accusano-truppe-ugandesi-di-violenze-a-donne-centrafricane/. Da aprile l’Uganda, insieme agli Stati Uniti, ha iniziato a ritirare i propri uomini
http://www.africa-express.info/2017/04/20/la-caccia-joseph-kony-e-finita-stati-uniti-e-uganda-ritirano-le-proprie-truppe-dal-centrafrica/.

Il contingente del Congo-Brazzaville, forte di seicento uomini, sarà ben presto rispedito a casa, perché anche alcuni dei militari sono sotto inchiesta per abusi a sfondo sessuale e per traffico di carburante. Anche i camerunensi hanno arrotondato il loro soldo, rivendendo illegalmente camion pieni di birra, importati dal proprio Paese.

Diamanti centrafricani in vendita sui social network

Non sarà dunque facile attuare l’accordo firmato grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio. La popolazione ha sofferto e soffre ancora troppo e gli interessi in gioco non sono pochi, basti pensare al traffico illecito dei legni pregiati (http://www.africa-express.info/2015/07/19/centrafrica-le-multinazionali-e-il-saccheggio-delle-grandi-foreste-pluviali/) e quello diamanti insanguinati (http://www.africa-express.info/2016/12/19/dal-centrafrica-al-camerun-cosi-diamanti-insanguinati-finanziano-la-guerra-civile/), che finanziano i vari gruppi armati. I controlli delle autorità preposte sono insufficienti, se non addirittura inesistenti. Non è difficile eludere il “Kimberley Process”, il “passaporto” che permette ai diamanti  l’accesso al mercato internazionale. Ma oggi è possibile piazzare questi preziosi anche senza quel documento: c’è la rete, ci sono i social network, dove troviamo i “community managers” , trafficanti dei diamanti di sangue provenienti dal CAR e vietati all’esportazione, che offrono i loro prodotti su Facebook e WhatsApp.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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