Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 21 giugno 2017
Nella Repubblica democratica del Congo sono state uccise oltre tremila persone in meno di un anno. La Chiesa cattolica ha presentato un dettagliato rapporto circa le violenze scoppiate nella regione del Gran Kasaï, che comprende ben cinque province: Kasaï, Kasaï Centrale, Kasaï Orientale, Lomami e Sankuru.
Queste morti, si parla di 3338 persone, sono state provocate dalle violenze scoppiate tra le forze dell’ordine congolesi e il gruppo ribelle “Kamuina Nsapu”, che porta il nome di un leader tradizionalista, ucciso lo scorso agosto dalle truppe regolari. Il ribelle era un medico sulla trentina. Aveva soggiornato a lungo in Sudafrica. Era ritornato nel Congo solo nell’aprile 2016, ma da tempo invitava la popolazione all’insurrezione contro lo Stato centrale e il presidente Joseph Kabila, al potere da ben sedici anni, uno dei tanti leader africani che amano restare incollati alla loro poltrona.
L’invito alla rivolta di Kamuina Nsapu, il predicatore ucciso, ha trovato inizialmente terreno fertile, proprio a causa dell’estrema povertà e l’omonimo gruppo ribelle non ha trovato difficoltà nel reclutamento di nuovi adepti. Secondo la testimonianza di un abitante del villaggio di Lubami Manga, ora rifugiato a Kikwit, nella provincia di Kwilu, bambini e adulti, spesso arruolati con la forza, sono sottoposti a dei “riti di invulnerabilità”. Il testimone ha aggiunto: “Il giorno dopo l’attacco al nostro villaggio, tutti i ragazzini sono stati portati nella foresta. Non si è più saputo nulla di loro”.
I ribelli sono spesso armati solamente di bastoni, qualche volta di machete e tra i loro membri molti sono bambini. Giovani e giovanissimi, assassini e vittime allo stesso tempo, arruolati come bambini soldato, costretti ad uccidere.
In due video, pubblicati dal sito Radio France International, sono stati inquadrati ragazzini ancora piccoli, una bimbetta, gravemente ferita, interrogata da un civile, ha risposto così: “Mi hanno detto di picchiare la gente”. La piccolina, arruolata con la forza e obbligata a bere una “pozione magica”, è morta dopo poco. Una storia terribile, simile a quella di tanti in questa zona poverissima, per lo più abitata da minatori, che non possono permettersi di mandare i figli a scuola.
Le atrocità che si sono consumate negli ultimi mesi in questa vasta area sono terribili. Le truppe congolesi sono accusate di aver distrutto una decina di villaggi, altrettanti sono stati attaccati e rasi al suolo dai ribelli. “Poliziotti uccisi, funzionari delle Nazioni Unite rapiti, poi trovati morti. L’ONU ha scoperto una quarantina di fosse comuni, dove erano seppellite oltre quattrocento persone con evidenti ferite da arma da fuoco, picchiate, massacrate a morte o arse vive”, sono le sconcertanti parole di Prince Zeid Ra’ad al-Hussein, l’Alto commissario per i diritti umani dell’ONU, che ha aggiunto: “Le autorità locali ci hanno negato l’accesso alle informazioni per poter capire cosa sia realmente accaduto nella zona. Abbiamo comunque la certezza che centinaia di membri appartenenti ai gruppi etnici Luba e Lulua sono stati barbaramente ammazzati”. (http://www.africa-express.info/2017/03/26/caos-congo-k-decapitati-quaranta-poliziotti-trovate-fosse-comuni-sequestrati-funzionari-onu/).
Oltre un milione di abitanti è fuggito negli ultimi mesi dai loro villaggi. Molti si trovano ora a Kikwit. Stando agli ultimi dati rilasciati dall’ Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), oltre la metà degli sfollati sarebbero minori, buona parte di loro ha perso la madre o il padre, o sono rimasti orfani di entrambi i genitori durante i massacri.
Chi è rimasto a casa, deve confrontarsi oltre che con la paura, anche con la penuria alimentare. Nelle province del Kasaï, oltre quattrocentomila bambini sarebbero a rischio malnutrizione, in quanto è difficile far arrivare gli aiuti umanitari, come ha specificato Yves Willemot, rappresentante del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) nella ex colonia belga e ha aggiunto: “Anche perché mancano i fondi necessari. Per soddisfare tutte le necessità abbiamo fatto richiesta di quaranta milioni di dollari. Finora ne sono stati stanziati solamente sei milioni”.
I centri sanitari nella zona sono o inaccessibili o sprovvisti di medicinali. La maggior parte delle scuole sono chiuse. Secondo la Missione dell’ONU per la stabilizzazione nel Congo-K (MONUSCO), nel Kasaï e nel Kasaï Centrale sarebbero state distrutte 639 edifici scolastici. E a fare le spese di questo orribile conflitto sono sempre i più piccoli, ai quali viene negata l’infanzia, la gioia di vivere, il futuro.
Questa settimana il Consiglio di sicurezza dell’ONU metterà ai voti se inviare una commissione d’inchiesta indipendente nelle province del Kasaï. Le autorità congolesi hanno già preannunciato che non accetteranno investigazioni di nessun genere.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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