EDITORIALE
Massimo A. Alberizzi
Milano 13 giugno 2017
Lapa-Lapa, ovvero “La barca”, il documentario che presentiamo qui sotto, è frutto del lavoro intelligente della cooperativa “Progetto Accoglienza e Integrazione – Un sole per tutti”. Gli autori, Damiano Rossi e Fausto Conter, sottolineano che l’obbiettivo è disincentivare le future possibili partenze. La parte essenziale del racconto dei dodici intervistati riguarda infatti le angherie subite, le violenze sopportate e le sofferenze patite durante il viaggio della speranza verso l’Europa.
Dietro i volti e nelle risposte dei protagonisti del video si coglie un profondo tormento, una terribile angoscia e il terrore provato in alcuni momenti. La prima domanda, “Rifaresti in viaggio”, riceve una risposta concorde lapidaria: “No” ed è spiegata dai racconti raccapriccianti e struggenti dei protagonisti. La domanda però che forse colpisce più nel segno – ed è anche la più angosciante – riguarda i motivi per i quali questi ragazzi hanno lasciato la loro casa: “Cosa vorresti ci fosse nel tuo Paese per potervi tornare?”. Anche qui le risposte sono tutte uguali: libertà e lavoro.
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I migranti intervistati vengono tutti dall’Africa Occidentale: Gambia, Senegal, Guinea Conakry, Nigeria, Mali e Costa d’Avorio, Paesi dove c’è un forte disagio sociale, non c’è lavoro e i giovani sono senza futuro e senza speranze. Ma profondamente diversa la situazione di chi viene da quelle zone dell’Africa Orientale dove imperversa la guerra o dove la repressione delle dittature è ossessiva e totalmente arbitraria. In questi Paesi ogni giorno si rischia di morire o di essere internati in un campo di concentramento senza ritorno.
I giovani eritrei che fuggono da una dittatura disumana e folle (http://www.africa-express.info/2017/06/16/rapporto-onu-accusa-leritrea-crimini-contro-lumanita-e-assenza-dei-diritti-umani/) sanno a cosa vanno incontro durante il viaggio verso l’Europa. Mettono in conto che il paradiso che sperano di trovare alla fine della loro corsa, cammin facendo si può trasformare in un inferno mortale. Sanno che tanti loro compagni sono morti e non ce l’hanno fatta. Eppure si mettono in marcia lo stesso. Ed è questo che noi ci dobbiamo domandare: perché partono?
Nei Paesi d’origine si conoscono le telefonate degli aguzzini che chiedono soldi alle famiglie dei migranti per permettere ai poveracci di poter continuare il viaggio. Chi emigra da questi Paesi canaglia sa persino che i suoi organi potrebbero essere espiantati e venduti a qualche disumano trafficante. Un fegato, un rene, un cuore nuovo viene pagato a peso d’oro. Chi parte è a conoscenza di questi fatti. Eppure parte ugualmente. Domandiamoci il perché.
Massimo A. Alberizzi
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