Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 12 giugno 2017
Il mandato delle truppe dell’Economic Community of West African States (ECOWAS), intervenute in Gambia all’inizio di quest’anno con l’Operazione “Restore Democracy”, è stato prolungato di altri sei mesi, dopo i disordini avvenuti i primi del mese nella regione natale dell’ex presidente Yahya Jammeh, attualmente in esilio in Guinea Equatoriale.
Alcuni sostenitori e compaesani di Jammeh, hanno protestato contro la presenza delle truppe di ECOWAS a Kanilai, che dista un centinaio di chilometri dalla capitale Banjul, in prossimità della regione senegalese Casamance. Un consistente numero di persone aveva bloccato le strade del centro abitato, bruciando pneumatici un po’ ovunque. I militari hanno aperto il fuoco contro i manifestanti, cinque sono stati feriti, mentre un sesto è morto a cause delle lesioni riportate. Altre ventidue persone sono state arrestate, secondo un comunicato del ministro dell’Informazione, Demba Ali Jawo.
In seguito a questi fatti, il 5 giugno l’ECOWAS ha rinnovato il mandato per altri sei mesi a cinquecento uomini della missione dell’Operazione “Restoring Democracy”. Finora era presente nell’enclave del Senegal con settemila uomini.
Le forze dell’ECOWAS sono già intervenute nella ex colonia britannica nel 1981 per contrastare un colpo di Stato intento a rovesciare il primo presidente del Gambia, Dawda Jawara. Grazie ad un golpe, organizzato appunto da Jammeh, Jawara è stato detronizzato nel 1994. Da allora il despota ha governato a suo piacimento il Paese, imprigionando e mettendo a tacere gli oppositori fino a gennaio di quest’anno.
Jammeh aveva sorpreso il mondo intero quando si era congratulato con Adama Barrow ancor prima che la Commissione elettorale indipendente lo avesse proclamato vincitore della tornata elettorale. Una settimana dopo, invece, il dittatore aveva fatto marcia indietro, rifiutandosi di lasciare la poltrona, impedendo al neo eletto presidente di insediarsi. Infatti Barrow ha prestato il primo giuramento a Dakar, in Senegal, (http://www.africa-express.info/2017/01/19/truppe-entrano-gambia-barrow-giura-dakar/) il 19 gennaio 2017.
Solamente dopo estenuanti trattative diplomatiche, durate giorni e giorni, Jammeh aveva accettato di cedere il potere a Barrow, democraticamente eletto il 1° dicembre 2016, e di trasferirsi in esilio con la famiglia in Guinea Equatoriale (http://www.africa-express.info/2017/01/24/perche-lex-dittatore-del-gambia-yahya-jammeh-si-e-rifugiato-guinea-equatoriale/). Ma prima di lasciare il Paese, il dittatore ha saccheggiato e svuotato le casso dello Stato, facendo trasferire illegalmente ingenti somme di denaro su conti all’estero.
Alla fine di maggio il governo gambiano ha fatto mettere sotto sequestro ottantasei conti bancari e centotrentuno beni immobiliari riconducibili a Jammeh, grazie ad un ordinanza del Tribunale. Ricchezze accumulate e sottratte alle casse dello Stato durante i ventidue anni di tirannia, lasciando in miseria e povertà buona parte della popolazione, che conta poco meno di due milioni di persone. Il reddito annuo pro capite è di quattrocentoquaranta dollari.
La comunità internazionale sostiene Barrow, il nuovo presidente del Gambia. In particolare l’Unione Europea, specie dopo le elezioni legislative, che si sono svolte all’inizio di aprile e che hanno visto vincitore il partito del presidente, l’United Democraty Party, che si è aggiudicato trentuno dei cinquantatré seggi in Parlamento. ( http://www.africa-express.info/2017/04/07/legislative-gambia-vince-il-partito-del-nuovo-presidente-adama-barrow/).
Anche il Senegal – il Gambia è un enclave dell’ex colonia francese – vede positivamente questo cambio della guardia, perché le relazioni tra i due governi non sono state proprio idilliache fino all’arrivo di Barrow. Dakar e la sua regione Casamance, che confina direttamente con la ex colonia britannica, vivono un conflitto ultra trentennale, spesso nel silenzio del mondo. E Jammeh, specie alla fine del suo regno di terrore, era solito circondarsi da ribelli di Casamance e da altri mercenari provenienti dalla Liberia, Sierra Leone e Mali.
Durante la prima visita di Baroow a Dakar, Macky Sall, presidente del Senegal, ha parlato subito con il suo omologo del conflitto in Casamance e ha avanzato immediatamente una richiesta al suo omologo: “Vogliamo la pace nella nostra regione, abbiamo bisogno del suo aiuto e del suo sostegno in questa faccenda”.
Questa regione senegalese è geograficamente molto distante e isolata dal resto del Paese. E’ una zona ricca – viene considerata il granaio di Dakar – ma vive ancora una situazione di conflittualità con il governo centrale. Nel recente passato, cioè da quando Sall è stato eletto presidente, non si sono verificati scontri importanti tra i ribelli indipendentisti del “Mouvement des forces démocratiques de Casamance (MFDC) e le truppe regolari, ma non si è arrivati ancora alla totale distensione tra le parti.
Il conflitto è scoppiato nel lontano 1982, quando Casamance ha rivendicato la sua indipendenza. La regione confina a nord con l’enclave del Gambia, mentre a sud con la Guinea Bissau e la Guinea e a est con il Mali. E’ abitata da quasi ottocentomila persone, che, malgrado il terreno assai fertile, vista la presenza di molti corsi d’acqua, vivono in uno stato di povertà estrema; l’agricoltura di sussistenza rappresenta la maggiore attività insieme alla pesca e l’allevamento di bestiame. In tutto il territorio c’è una sola università, a Ziguinchor, inaugurata nel 2007, ma è carente di tutte le materie scientifiche.
Nel 2004, dopo anni di lotta, spesso repressa nel sangue dalle truppe governative, Augustin Diamacoune Senghor, detto l’Abbé Diamacoune, capo dell’MFDC e l’allora presidente del Paese, Abdoulaye Wade, hanno firmato un trattato di pace. Per due anni nella regione il clima è stato più disteso, ma dopo la morte dell’abate, nel 2006, il movimento si è spaccato in diverse fazioni. Per la mancanza di controllo del territorio da parte delle autorità, si suppone che per anni il sud del Senegal sia stato terra di passaggio del narcotraffico
Nel 2012, con la mediazione della Comunità di Sant’Egidio, il governo senegalese ha tentato una pacificazione – poi fallita – con il più radicale dei leader del movimento, Salif Sadio, che godeva dell’appoggio dall’ex presidente gambiano Jammeh appunto.
La popolazione ora è stanca, chiede la pace, le conseguenze della guerra civile sono stati devastanti e intere aree sono ancora disseminate di mine antiuomo poste dall’MFDC, che hanno provocato centinaia di morti e mutilati.
Il nuovo governo gambiano ovviamente ha cambiato politica. Sono stati notevolmente aumentati i controlli alle frontiere e c’è una maggiore collaborazione con i servizi di sicurezza senegalesi. Inoltre, i due ministeri per l’Ambiente di entrambi gli Stati hanno già firmato un accordo per combattere il traffico di legno illegale, che in passato ha causato una massiccia deforestazione in Casamance.
Certamente il conflitto tra questa regione del Senegal e il governo centrale non sarà risolto dall’oggi al domani, anche se da tempo non si tratta più di un problema politico per l’indipendenza; gli obbiettivi dei ribelli ora sono puramente economici e la mancanza dell’appoggio di Jammeh è stato comunque un duro colpo per alcune fazioni dell’MFDC.
Cornelia I.Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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