Dal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 11 giugno 2017
Fuggiti dalla Namibia sin dal 1998, quali oppositori al nuovo regime che vi si era instaurato, i namibiani avevano trovato accoglienza e rifugio in Botswana nel campo appositamente allestito di Dukwi a circa 180 chilometri a Nord-Ovest di Francistown, la seconda città del paese. Negli anni successivi a causa delle asserite turbolenze dei rifugiati e della sovrappopolazione del campo, che ospita anche rifugiati da molti altri paesi africani, una commissione congiunta, composta da rappresentanti del Governo botswano, di quello namibiano e di quello dell’Alto Commissario ONU per i rifugiati, nell’aprile del 2015 giunse ad una risoluzione che imponeva a tutti i namibiani presenti nel campo, di rientrare nel proprio paese entro il 31 dicembre dello stesso anno, quando il loro titolo di rifugiati sarebbe stato annullato.
Questa ordinanza si basava sulle assicurazioni fornite dal Governo della Namibia, di accogliere i propri connazionali senza assoggettarli a qualsiasi tipo di ostracismo o di ritorsione per la loro passata militanza politica. Assicurazione, questa, che parve tranquillizzare anche i funzionari ONU, ma che non fu considerata credibile dagli interessati i quali si opposero tenacemente al rimpatrio forzato, asserendo che appena messo piede nel proprio paese sarebbero stati immediatamente arrestati. Per legalizzare questa loro posizione un comitato di rappresentanza dei rifugiati namibiani aveva anche presentato un istanza all’alta Corte del Botswana che diede loro ragione ordinando al governo di desistere dal tentativo di espatriarli.
Viste le orribili condizioni del campo che li ospita e le ripetute angherie che i rifugiati denunciano di subire da parte delle forze di polizia botswane, si sarebbe portati a dare un certo credito ai loro timori di un rientro forzato, visto anche che gli stessi funzionari ONU hanno scelto di temporeggiare prima di cedere alle insistenti richieste del Botswana di procedere ad un’azione coatta.
Questi rifugiati provengono prevalentemente dalla striscia di Caprivi nella regione dello Zambesi in Namibia e per rientrare in patria hanno posto come condizione che il governo namibiano conceda l’indipendenza alla loro terra d’origine. Richiesta che, com’era presumibile, è stata sdegnosamente respinta.
Le continue pressioni del governo botswano, sempre più debolmente moderate dall’ONU, ad effettuare con la forza il rimpatrio dei rifugiati, hanno creato in questi ultimi due anni un’altissima tensione tra i namibiani presenti a Dukwi che hanno minacciato di armarsi e di resistere combattendo alle pressioni dei militari botswani qualora questi tentassero di cacciarli dal campo. Le stesse armi sarebbero quindi usate contro la Namibia per riappropriarsi della loro terra natia, Caprivi, che a loro dire non è mai stata e mai sarà parte della Namibia.
Resta difficile immaginare dove e come i rifugiati namibiani potrebbero procurarsi le armi che minacciano di usare visto che sono rinchiusi in un campo super sorvegliato dalle forze di polizia, ma è certo che la loro rabbia sta raggiungendo una temperatura esplosiva, favorita anche da alcune iniziative disumane messe in atto dal governo botswano , come quella di lasciare senza cibo i rifugiati che rifiutano di firmare il modulo per il rimpatrio volontario.
In barba all’ordinanza del tribunale, il governo botswano, dal gennaio di quest’anno, ha dichiarato di aver nuovamente messo in atto i processi di rimpatrio coatto, visto che a seguito della risoluzione congiunta del 2015, qualsiasi namibiano si trovi nel territorio del Botswana sarà considerato un immigrato clandestino e quindi trattato di conseguenza a termini di legge.
Questo estenuante rimpallo tra i rifugiati ed il governo che li ospita, ha comunque indotto un certo numero di nubiani a rientrare volontariamente in patria. Quelli che ancora restano sono un gruppo di 700 irriducibili sui quali si addensa ora un altro rischio: quello che il campo si Dukwi venga definitivamente chiuso. Fino ad ora l’Agenzia ONU per i rifugiati non ha confermato né smentito questa notizia, limitandosi ad assicurare i media che qualunque sarà la decisione presa dal governo del Botswana, sarà loro cura esaminare la situazione di ogni singolo rifugiato per valutare, là dove si rendesse necessario, la possibilità del suo ricollocamento in un altro paese.
Franco Nofori
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