Dal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 2 giugno 2017
Anche questa volta le vittime sono agenti di polizia, cinque, caduti in un’imboscata dei sanguinari terroristi somali che si riconoscono nell’Isis. L’attentato è avvenuto mercoledì scorso a poca distanza dall’isola di Lamu, nel nord del Kenya quasi ai confini con la Somalia. La bomba, piazzata lungo una strada, segue di una sola settimana un altro sanguinoso attentato, in prossimità della frontiera con l’ex colonia italiana, sempre ai danni delle forze di polizia, che aveva prodotto 11 vittime.
Al shabab non perdona al Kenya l’intervento in Somalia delle proprie truppe che, fin dal 2011, operano nell’area del porto di Chisimaio, inquadrate nella forza multinazionale ONU. Il contingente internazionale è formato da oltre 22.000 uomini che tentano a fatica di riportare stabilità in un Paese devastato dalla guerra civile iniziata nel 1991. Nel gennaio di quell’anno una rivolta aveva cacciato il presidente Sian Barre, fino a quel momento sostenuto, tra gli altri, anche dal governo Craxi, ma subito dopo la coalizione ribelle si era spaccata e i signori della guerra hanno cominciato a combattersi ferocemente.
La nascita del califfato islamico di credenza sunnita, partorito anche dai molti errori occidentali nella seconda guerra del golfo e nell’intervento in Libia, ha creato una specie di aberrante legittimazione per i vari gruppi terroristici, tra cui al shabab, che fino a quel momento agivano slegati e in totale indipendenza, permettendo loro di riconoscersi nel fanatismo dell’Isis.
Malgrado i continui sostegni internazionali, tra cui primeggia quello dell’Italia, il nuovo governo somalo riconosciuto dall’ONU, resta estremamente debole e si dimostra del tutto incapace a controllare la sanguinosa faida interna che ha ormai raggiunto il suo ventiseiesimo anno di conflitto.
L’intervento militare in Somalia, è finora costato al Kenya un alto prezzo che non compensa neppure lontanamente i modesti successi ottenuti nel tentare di contenere l’attività dei terroristi. Le zone dell’estremo Nord-Est del Paese sono state teatro di raccapriccianti stragi di civili, tra cui l’indimenticabile massacro nel campus universitario di Garissa, costato la vita a 147 giovani studenti: non erano stati in grado di recitare alcuni versetti del Corano. Per non parlare dell’attacco contro il centro Commerciale Westgate a Nairobi.
Questa situazione, che espone a continui rischi soprattutto le regioni orientali del Kenya, ha già quasi azzerato gli afflussi turistici e creato una débâche economica senza precedenti, portando molti keniaoti a chiedere al governo di ritirare le proprie truppe dal conflitto. D’altro canto il Kenya non può neppure restare indifferente a ciò che accade proprio a ridosso dei suoi confini, né l’intera comunità internazionale può permettere che al shabab continui, del tutto indisturbato, a rafforzarsi e a crescere.
Franco Nofori
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