Dal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 31 maggio 2017
Nel Kenya della dilagante povertà e delle nicchie di sfrenata ricchezza, una piccola comunità combatte da decenni una strenua battaglia in difesa dei propri diritti ed infine vince, vedendo premiata la propria determinazione e sconfiggendo la potente gerarchia al potere.
Si tratta della comunità Ogiek, non più di 80,000 abitanti che vivono da secoli nell’incontaminato splendore del Mau Forest, ai piedi del monte Elgon. Fin dal 1930, i primi a tentare ripetutamente di cacciarli dalla loro terra furono i dominatori britannici che volevano trasformare la foresta in un santuario naturale per la fauna locale e fornire ai coloni bianchi aree per il proprio inserimento.
L’atteggiamento del governo del Kenya, nei confronti di questa minoranza etnica fu sempre caratterizzato dall’ambiguità. Nell’anno 1968, in apparente accordo con la comunità Ogiek, in una parte del Mau Forest, fu creato il Parco Nazionale “Cheptikale Game Reserve” la cui proprietà, con una disposizione del 2012, fu assegnata agli abitanti locali con la garanzia che vi potessero continuare a vivere indisturbati.
Le cose, però, andarono ben diversamente. Vaste aree della foresta furono rase al suolo per essere trasformate in colture di mais e la direzione del Kenya Widlife Service emise un ordinanza per cui i Parchi Nazionali del Paese dovevano essere disabitati per prevenire la caccia di frodo e il danneggiamento della foresta. Così, a partire dal 2009, gli Ogieck furono ripetutamente aggrediti da brutali operazioni di polizia e di agenti del Wildlife Service che li cacciarono dal territorio, bruciarono le loro case e malmenarono chi tentava di resistere alle distruzioni.
Tutto ciò è davvero paradossale visto che la nuova Costituzione del Kenya, varata nel 2010, protegge il diritto delle popolazioni indigene a far libero uso delle terre in cui hanno da sempre vissuto. La beffa è che questo articolo della Costituzione, ad oggi, non è ancora stato approvato dal parlamento e quindi non si è trasformato in legge.
Ma gli Ogiek, rimasti senza case, costretti a dormire al freddo sotto le fronde degli alberi e senza che venisse mai riconosciuta loro alcuna compensazione, non si sono mai rassegnati al sopruso e le loro continue istanze sono infine approdate all’African Court of Human and Peoples Rights con base in Arusha (Tanzania) che ha riconosciuto la fondatezza del loro diritto ed emesso una sentenza in loro favore, sentenza che il governo del Kenya ha già dichiarato di voler rispettare.
Questo tribunale per la protezione dei diritti umani dei popoli africani è stato creato nel 2006 e con questa sentenza acquista di colpo una straordinaria autorevolezza. Si tratta, infatti, di una decisione rivoluzionaria che non mancherà di produrre effetti a catena nelle molte, troppe, situazioni dell’intero Continente in cui malgoverno e corruzione hanno visto numerose etnie indigene cacciate dalle proprie terre.
Tuttavia, questo encomiabile atto di giustizia che ristabilisce l’inalienabile diritto a continuare a vivere nella terra in cui si è nati ed in cui per secoli e secoli sono vissuti i propri avi, contiene anche non pochi rischi di essere mistificato provocando atti di violenza, soprattutto nelle aree più primitive e di bassa educazione scolare, in cui il riconoscimento del fatto che la terra appartiene al popolo, può scatenare irruzioni dei più esagitati anche in residenze private che sono state legittimamente acquisite. Cosa questa che è già più volte avvenuta attraverso atti sanguinari, non raramente sobillati dalle stesse autorità politiche locali alla costante ricerca di consensi elettorali.
Franco Nofori
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@FrancoKronos1
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