Dal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 23 maggio 2017
Ugali, Sima, Posho… qualunque sia il nome che le viene attribuito si tratta sempre e soltanto dell’onnipresente farina bianca di mais, l’alimento base della dieta keniota, che corrisponde alla nostra polenta. Il consumo interno è così grande che la produzione locale è impossibilitata a soddisfarlo, anche per effetto della grave siccità che ha colpito il Paese nella recente stagione pre-monsonica. Questo ha costretto il governo ad importarne ben 30,000 tonnellate dal Messico.
La polenta bianca, viene normalmente consumata in abbinamento a vari tipi di verdura, qui noti come sukumawiki, mchicha, maharagwe, pojo… che corrispondono a erbe varie, fagiolini e comune insalata. Solo i più fortunati possono ogni tanto abbinarla a pezzi di nyama (carne di manzo) o di kuku (pollo) o mbusi (capra).
E’ fatale che un prodotto alimentare di cosi esteso consumo favorisse una sempre più accesa speculazione da parte sia delle grosse aziende locali, che provvedono alla macina del granturco, sia da parte degli importatori che glielo forniscono. Attività, queste, alle quali non sembrano essere estranei potenti personaggi del mondo politico.
Per effetto di questa speculazione, una confezione standard del prodotto di 2 kg. aveva raggiunto, qualche mese fa, l’incredibile prezzo di quasi 2 euro. Considerando che una famiglia media del paese è composta da 5/6 persone, nella maggior parte dei casi sostenute da un monoreddito, per poter contare su almeno due pasti al giorno, doveva poter acquistare ogni giorno 4 chili di prodotto ad un costo complessivo di 4 euro, cioè più di quanto una persona di basso ceto sociale, pur potendo contare su una stabile occupazione, riuscisse a guadagnare con il proprio lavoro.
Parlando di “basso ceto sociale” non ci si riferisce ad una limitata parte della popolazione, ma a ben due terzi del suo numero totale ed è quindi facile comprendere come una situazione del genere possa produrre effetti esplosivi sulla stabilità di una nazione già prostrata da altre innumerevoli carenze sociali.
Ecco perché, questo potenziale rischio ha infine indotto il governo, in persona dello stesso presidente Uhuru Kenyatta, ad intervenire drasticamente ponendo sul prodotto un prezzo di legge di 8 centesimi di euro, riferito alla confezione di 2 kg. ma queste scelte che, appena rese note, esaltano la popolazione e portano ovviamente acqua al mulino della campagna elettorale in corso, devono inevitabilmente fare poi i conti con i logistici meccanismi della realtà.
Come si può ridurre di colpo il costo di un prodotto del 60% senza mandare all’aria la sua intera catena produttiva e distributiva? Ecco allora che, pur con un prezzo divenuto più che allettante, la farina di mais è improvvisamente scomparsa dal mercato e la situazione si è fatta nuovamente esplosiva. Come gestirà il governo questa nuova e grave minaccia alla stabilità del paese?
E’ facile intuire come tutti gli operatori interessati alla distribuzione di questo prodotto ne stiano facendo incetta riempiendo i propri magazzini in attesa che il prezzo di mercato torni a livelli che ne garantiscano la redditività e non è certamente facile entrare nei loro apparati gestionali per stabilire quale sia il prezzo giusto o quali interventi strutturali si rendano necessari perché tale prezzo risulti comunque accessibile al consumo. Si tratta inoltre di un settore produttivo che coinvolge così tanti e potenti interessi nei quali, lo stesso governo, non se la sente di entrare a gamba tesa.
Intanto, nello scenario delle reciproche accuse che il governo e l’opposizione si scambiano su questa crisi, come prima misura per tenerla sotto controllo è stata quella di imporre ai supermercati di limitare la vendita a soli 2 kg. di mais per persona. Una scelta, questa, del tutto ridicola in quanto può facilmente essere aggirata e serve solo a dimostrare in quale stato di confuso imbarazzo si trovino le autorità preposte a gestire a situazione.
In un periodo pre-elettorale già carico di scambi biliosi, di forti tensioni e di paure, il governo non poteva trovarsi a gestire una sfida più difficile di questa. La storia ha sempre dimostrato che l’arte della parola e della retorica sono spesso servite a placare le masse, ma quando esplode la fame è molto difficile che la pura dialettica, per quanto abile e sofisticata, riesca a riempire le pance degli affamati. Riuscirà la classe politica al potere ad uscire da questa impasse? E’ importante. Non tanto per lei, quanto per la popolazione di questo paese, già frustrata da corruzione, degrado e da una sempre più estesa discriminazione sociale.
Franco Nofori
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