AFRICA

Oltre centocinquanta morti in Centrafrica: tra loro anche sei caschi blu di MINUSCA

Africa,ExpressSpeciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 14 maggio 2017

Gli attacchi si susseguono nel sud del Centrafrica. Ieri notte è stato presa d’assalto la base della Missione delle Nazioni Unite nella Repubblica centrafricana (MINUSCA), che dista solo sette chilometri da Bangassou. Durante una sparatoria tra i caschi blu e miliziani cristiani anti-balaka, che controllano da giorni la città, è stato ferito un altro soldato marocchino dell’ONU e diversi civili, che attualmente si trovano tutti nella moschea, impossibile raggiungere l’ospedale.

Durante la notte tra il 12 e il 13 maggio è stato ucciso un altro casco blu del contingente marocchino dell’ONU. E’ il sesto militare della Missione di pace ad aver perso la vita nel giro di pochi giorni.

Hervé Verhoosel, responsabile per le comunicazioni di MINUSCA ha confermato che gli ultimi scontri si sono verificati a Bangassou, nel sud-est della Repubblica centrafricana (CAR), dove le aggressioni si sono per lo più concentrate a Tokoyo, il quartiere musulmano. Membri di una vasta coalizione, comprendente anche molti anti-balaka (irregolari cristiani e animisti), hanno assalito la popolazione civile. Anche l’ufficio regionale della Missione ONU a Bangassou è stato preso di mira durante la stessa notte con armi pesanti, per impedire ai caschi blu di uscire dalla base per proteggere la popolazione civile. Ieri notte sono morti parecchi civili, oltre al militare di MINUSCA. Venticinque feriti sono stati trasportati all’ospedale locale, gestito dall’Organizzazione Medici Senza Frontiere. Verhoosel ha specificato che i miliziani sono ben organizzati e dispongono di ottime capacità tattiche.  Tra cinquecento e seicento uomini molto ben armati, sarebbero entrati a notte fonda nella città da due lati, in sella alle moto o a piedi.

All’inizio della settimana un convoglio del contingente ONU è stato fermato da un blocco stradale sotto una pioggia battente mentre si dirigeva a Bangassou. Un gruppo di anti-balaka ha aperto il fuoco, uccidendo un casco blu cambogiano. Altri tre militari ONU, sempre cambogiani, sono stati rapiti e barbaramente assassinati, un quinto, marocchino, è stato dato per disperso. E’ stato ritrovato morto solo qualche giorno più tardi. Durante l’imboscata sono stati feriti altri dieci soldati di MINUSCA. E’ il peggiore attacco da quando il contingente è operativo nel CAR.

Secondo una fonte che ha voluto mantenere l’anonimato, il gruppo che ha assalito il convoglio sarebbe lo stesso che ha seminato morte e panico a Bangassou questo fine settimana.

Antonio Guterres, Segretario generale dell’ONU

In un comunicato di poche ore fa, un portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha condannato gli attacchi dei miliziani armati ed ha espresso le sue condoglianze ai familiari dei caschi blu deceduti e ai parenti delle vittime civili. Il portavoce ha inoltre sottolineato che l’uccisione di caschi blu potrebbe essere considerata come crimine di guerra e ha altresì biasimato il barbaro assassinio  dei civili.

“L’ONU continuerà la sua Missione con fermezza e determinazione per assolvere il mandato di MINUSCA e questi ultimi assalti dimostrano che il Paese è ancora fragile e necessita ancora costantemente del supporto della comunità internazionale”, ha aggiunto infine l’estensore del comunicato stampa.

Anche Alindao, che dista poco meno di duecentocinquanta chilometri da Bangassou, è stato scenario di scontri tra gruppi di anti balaka e miliziani dell’Unité pour la Centrafrique (UPC), capeggiati da Ali Darass, un gruppo ex-Séléka (che comprende per lo più musulmani). Durante le violenze, durate ben tre giorni, sono morte almeno trentasette persone, molte tra loro arse vive nelle loro case e oltre cento hanno riportato ferite più o meno gravi. La popolazione è disperata e terrorizzata; tremila abitanti sono fuggiti, hanno abbandonato le loro case, alla ricerca di un luogo sicuro. Dei caschi blu portoghesi sono sul luogo da lunedì scorso, cercando di riportare la calma.

La crisi dell’ex colonia francese comincia alla fine del 2012: il presidente François Bozizé dopo essere stato minacciato dai ribelli Séléka (il maggioranza musulmani) alle porte di Bangui, chiede aiuto all’ONU e alla Francia. Nel marzo 2013 Michel Djotodia, prende il potere, diventando così il primo presidente di fede islamica (nonostante il nome) del Paese. Dall’ottobre dello stesso anno i combattimenti tra i cristiano animisti anti-balaka  e gli ex-Séléka si intensificano e lo Stato non è più in grado di garantire l’ordine pubblico. Francia e ONU temono che la guerra civile possa trasformarsi in genocidio. Il 10 gennaio 2014 Djotodia presenta le dimissioni e il giorno seguente parte per l’esilio in Benin. Il 23 gennaio 2014 viene nominata presidente del governo di transizione Catherine Samba-Panza, ex-sindaco di Bangui.

violenza nella Repubblica centrafricana

Il 15 settembre 2014 arrivano anche i caschi blu dell’ONU della Missione Multidimensionale Integrata per la Stabilizzazione nella Repubblica Centrafricana. Le forze dell’Unione Africana del contingente MUNISCA, presenti con 5250 uomini (850 soldati del Ciad hanno dovuto lasciare il Paese qualche mese prima, perché accusati di aver usato la popolazione come scudi umani) affiancano le truppe francesi dell’operazione Sangaris. Con la risoluzione 2301 del 26 luglio 2016 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU rinnova il mandato di MINUSCA fino a novembre 2017. Attualmente il contingente internazionale conta 12.870 uomini: 10.750 militari e 2.080 poliziotti, oltre ad un certo numero di personale civile. Il 31 ottobre scorso la Francia ha ufficialmente ritirato le sue truppe dell’operazione Sangaris, che si è protratta per tre anni.

Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) la Repubblica centrafricana rappresenta uno dei Paesi più pericolosi al mondo per le agenzie umanitarie: solamente nel primo trimestre del 2017 si sono verificati ben trentatré attacchi nei confronti di operatori umanitari. Nelle ultime settimane cinque Agenzie umanitarie internazionali hanno abbandonato la loro attività nel CAR per motivi di sicurezza.

Risulta sempre più difficile venire incontro alla popolazione tanto provata, per lo stato di insicurezza e per i continui combattimenti e attacchi da parte dei vari schieramenti. Quasi la metà della popolazione, ossia oltre 2,2 milioni di persone, su una popolazione di appena 4,6 milioni, necessitano di assistenza umanitaria. Dall’inizio del conflitto, oltre ottocentosessantamila civili hanno dovuto lasciare i loro villaggi e le loro case. Tra loro poco più della metà hanno cercato protezione nei Paesi confinanti, gli altri sono sfollati interni. I morti non si contano più.

Gruppo di uomini armati in Centrafrica

E’ difficile riportare la pace in questo Paese, dove risorse naturali, come legno e minerali pregiati, nonchè diamanti  fanno gola a tutti; con il ricavato (http://www.africa-express.info/2015/07/19/centrafrica-le-multinazionali-e-il-saccheggio-delle-grandi-foreste-pluviali/), (http://www.africa-express.info/2016/12/19/dal-centrafrica-al-camerun-cosi-diamanti-insanguinati-finanziano-la-guerra-civile/) si comprano armi per finanziare la guerra civile. Sembra incredibile a dirsi, mentre l’ONU, i governi occidentali spendono centinaia di milioni di euro per stabilizzare la Repubblica Centrafricana, questi stessi governi e il Palazzo di vetro a tutt’oggi non sono ancora riusciti a controllare questi traffici illeciti, insanguinati da vittime innocenti.

Si parla troppo poco della Repubblica centrafricana, eppure l’attenzione dei media potrebbe contribuire alla risoluzione delle atrocità che si consumano in questo Paese. Gli sguardi dei giornali sono concentrati altrove, perché ben pochi centrafricani attraversano il Mediterraneo per chiedere asilo nell’Unione Europea, e di conseguenza il CAR non fa notizia

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

Cornelia Toelgyes

Giornalista, vicedirettore di Africa Express, ha vissuti in diversi Paesi africani tra cui Nigeria, Angola, Etiopia, Kenya. Cresciuta in Svizzera, parla correntemente oltre all'italiano, inglese, francese e tedesco.

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