La tratta degli schiavi: gli staterelli italiani tra gli ultimi ad abolirla

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Dal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 8 maggio 2017

Come si è visto, a partire dal 18° secolo, fu la Gran Bretagna ad agire con fermezza per contrastare l’attività negriera, benché questa sua lodevole iniziativa non solo restò largamente ignorata ma, proprio ad opera di molti africani (discendenti delle vittime dell’infame commercio) si trova tuttora accusata di averlo addirittura gestito.

Quando ignoranza e disinteresse per i propri trascorsi storici si estendono a macchia d’olio sui popoli, si giunge a poter parlare di patologie endemiche ed è quindi con grande sorpresa che spesso ci si trova a prendere atto di eventi che molti non avevano neppure ipotizzato.

Dopo l’iniziativa britannica e se pur in epoche diverse, tutti i paesi europei ne seguirono l’esempio. Lo fece il Regno Sabaudo e in senso generale, lo fecero anche gli altri staterelli della penisola Italica benché un’esatta rilevazione dei loro comportamenti non risulti agevole soprattutto a causa delle continue tensioni che li opponevano l’uno all’altro. Ci furono tuttavia due importanti eccezioni:

La Francia fu tra le prime nazioni ad aderire all’iniziativa di Londra, anche in ossequio al trinomio di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza che aveva ispirato la transizione dal sistema monarchico a quello repubblicano, ma Napoleone Bonaparte, decise di ripristinare la schiavitù che fu definitivamente abolita soltanto nel 1833. Cosa questa che non fa certo onore al grande condottiero francese. Peggio di lei fece però il Regno Borbonico in cui la schiavitù sopravvisse fino all’unificazione del Regno d’Italia.

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Quale fu a questo proposito il comportamento della Chiesa, o meglio, dello Stato Pontificio? Non proprio edificante, occorre dirlo. Intanto è utile ricordare che la Santa Inquisizione proseguì nel suo truculento “Salvataggio delle anime” fino al 1820 e che nello Stato Pontificio, anche se con solo valore giuridico, la pena di morte sopravvisse fino al 2001 quando fu infine e definitivamente abolita sotto il pontificato di Woytila, cioè ben 54 anni dopo che era stata abolita in Italia. Mastro Titta, il famoso “Boia di Roma”, tra il 1796 e il 1870 eseguì per conto dello Stato Pontificio ben 527 esecuzioni!

Tornando alla questione della schiavitù è appurato che la Chiesa, nel suo torbido passato, fece personale uso di schiavi oltre ad avvallare apertamente l’asservimento di esseri umani compiuto dai cattolicissimi sovrani di Spagna e Portogallo sin dal periodo post Colombiano. A questo riguardo l’atteggiamento del Vaticano fu quantomeno ambiguo e contradditorio perché benché nella lettera ai Galati (versetto 3,28) San Paolo precisi che “Non c’è né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù», lo stesso Paolo, nella Lettera agli Efesini, sostiene, confutando se stesso: “Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, con semplicità di spirito, come a Cristo» (6,5) e nella Prima lettera a Timoteo: «Quelli poi che hanno padroni credenti, non manchino loro di riguardo perché sono fratelli, ma li servano ancora meglio». E infatti, forti di questo autorevole imprimatur ecclesiale, i nobili romani, benché convertiti al cristianesimo, continuarono tranquillamente a servirsi di schiavi.

Ma anche nel VII secolo il concilio di Toledo stabilì che: “chi dal vescovo, giù fino al suddiacono, abbia generato dei figli da nozze esecrande, sia con una donna libera sia con una schiava, dev’essere punito secondo la legge canonica; i figli generati da tale incesto devono appartenere per sempre come schiavi alla Chiesa». C’è ben poca misericordia cristiana in un decreto che punisce l’incolpevole frutto del peccato commesso dal clero.

La Chiesa, nei confronti della schiavitù, si espresse anche in epoche più recenti, come nell’anno 1179 quando il terzo Concilio Lateranense autorizzò a ridurre in schiavitù le bande anticristiane della Brabanza, Aragona e Navarra e concesse al sovrano del Portogallo, Niccolò V, di “ricercare, catturare, conquistare e soggiogare tutti i Saraceni e qualsiasi pagano e gli altri nemici di Cristo gettandoli in schiavitù perpetua”. Dal canto suo Papa Innocenzo X ordinò nel 1645 al Principe Nicolò Ludoviso, generale della flotta vaticana, di “provvedere alla Chiesa 100 schiavi turchi”.

Del resto, ancora nel 1794, esisteva un «intendente pontificio per gli schiavi» a nome Colelli, ma il clou di questo deprecabile atteggiamento della Chiesa, lo si raggiunge nel 1866, quando la schiavitù era ormai bandita in ogni angolo del mondo e ciò nonostante Papa Pio IX approvò una presa di posizione del Santo Uffizio che si dichiarava “Non contrario alla legge naturale e divina che uno schiavo possa essere venduto, acquistato, scambiato o regalato”.

Nelle sue “Cronache Laiche” Walter Peruzzi dichiara: “La Chiesa non ha abolito fin da principio la schiavitù anzi l’ha praticata per secoli, ha giustificato la sua conservazione e ha speso la sua influenza per perpetuarla. E quando si è decisa a condannarla non ha ammesso di aver predicato l’errore per quasi due millenni. Né potrebbe farlo, senza doversi riconoscere umanamente fallibile anziché divinamente ispirata…”.

Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
(3 – fine)

La prima puntata del racconto sugli schiavi di Franco Nofori la trovi qui

Tratta degli schiavi: Londra fu la prima a combatterla. Ma gli africani non lo sanno

La seconda puntata è qui:

Tratta degli schiavi: come dai bianchi il commercio passò nelle mani degli arabi

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