Dal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 26 aprile 2017
Tra il 1808 ed il 1860, la Royal Navy catturò 1600 battelli negrieri e rese liberi oltre 150 mila schiavi africani, ma il traffico umano era ancora troppo redditizio per essere abbandonato ed i negrieri arabi decisero di trasferirsi dalle coste occidentali africane a quelle orientali, malgrado che ciò li costringesse a lunghe e perigliose circumnavigazioni del continente. Dovevano doppiare il Capo di Buona Speranza, per entrare nell’Oceano Atlantico e far rotta verso le Americhe, ormai rimaste le sole acquirenti del loro scellerato carico.
La flotta britannica dovette quindi adeguarsi a questa nuova situazione ed estendere la sua azione anche alle coste africane dell’Oceano Indiano. Qui i potenti sultanati di Zanzibar, Dar es Salaam, Mombasa e Malindi, gli opposero una feroce resistenza che dovette essere vinta a suon di cannonate. Tuttavia, malgrado la decisa e costante azione britannica, la tratta degli schiavi non fu totalmente debellata fino a che, nel 1861, ispirata da ambienti massonici, gli stessi da cui era nata la lotta di indipendenza del 1783, negli Stati Uniti, si scatenò la sanguinosa guerra di secessione tra gli stati del nord e quelli del sud che si concluse quattro anni dopo e decretò, tra l’altro, anche la definitiva abolizione della schiavitù con affrancatura di tutti gli schiavi presenti sul territorio nazionale. Fu, come detto, una guerra lunga e feroce, caratterizzata da numerosi rovesciamenti di fronte ed alla quale partecipò anche un contingente di garibaldini (solo 3 anni prima l’Italia era approdata all’unità nazionale).
Caduto il maggior fruitore dei loro indegni “servizi” i negrieri arabi ridussero drasticamente le incursioni sulle coste africane, ma ciò nonostante il traffico umano non cessò mai del tutto ed ancora continua, se pur in forma ridotta, nei paesi di influenza araba dell’Africa occidentale, anche se oggi gli schiavi sono soprattutto bambini che non vengono più sequestrati a forza, ma venduti per quattro soldi da genitori compiacenti e brutalizzati dalla povertà, i quali vedono nelle proprie progenie uno strumento di sopravvivenza per loro e per se stessi.
I destinatari di questo traffico, che sopravvive nella clandestinità, sono tornati ad essere esclusivamente i ricchi paesi arabi che impiegano le loro prede per lavori domestici (nei casi più fortunati); per laidi servizi sessuali e (nei casi più infami) quale merce con cui alimentare la banca clandestina degli organi.
E’ davvero difficile credere che l’uomo, che si dice fatto “ad immagine e somiglianza del suo Creatore”, sia potuto arrivare a comportamenti così abbietti e così privi di umana pietà. Ma i resoconti della tratta degli schiavi dall’Africa non lasciano dubbi: nelle soffocanti stive dei vascelli negrieri in cui dovevano giacere anche per mesi durante la lunga traversata atlantica, gli uomini, incatenati alle paratie, lasciati senz’acqua, costretti a cibarsi di topi e scarafaggi, totalmente privati delle più elementari norme igieniche, erano falcidiati dalle malattie infettive e un terzo di loro giungeva a destinazione cadavere.
Che il ripercorrere questa vergognosa odissea faccia inorridire è cosa del tutto comprensibile, ma è profondamente ingiusto addossarne la colpa alla Gran Bretagna che, unica nazione tra tutte le altre, fu la prima a riscuotersi e a rendere disponibili il denaro, i mezzi ed anche la vita dei propri Royal Marines per tentare di contrastarla.
Purtroppo la mistificazione della storia – a volte dovuta all’ ignoranza, a volte scientificamente orchestrata – non è un fatto raro nei paesi africani. Ne è un esempio la rivolta dei mau-mau in Kenya, esplosa verso la metà del secolo scorso contro i coloni bianchi. Storia che nella sua narrazione ufficiale si ammanta di un idealismo inesistente e giunge a sostenere che i mau-mau raggiunsero l’indipendenza attraverso la sconfitta militare del corpo di spedizione britannico.
Nel caso della tratta degli schiavi però la ragione è certamente più pragmatica: gli arabi, o comunque gli islamici, sono profondamente inseriti nel tessuto sociale dei paesi africani, nei quali attuano un proselitismo senza pari, influenzandone notevolmente gli assetti economici. Una brutale verità sul trattamento da loro riservato in passato alle popolazioni di colore, innescherebbe certamente reazioni indesiderate e destabilizzanti. Un evento del genere si verificò peraltro negli anni ‘70 nella Tanzania di Nyerere, dove al diffondersi della verità sulla tratta degli schiavi, si scatenò una feroce mattanza ad opera delle genti di colore contro le etnie arabe presenti nel Paese che fu a stento domata solo dopo molti giorni di indicibili massacri. Più semplice quindi trasferire le colpe di tutto sull’uomo bianco che ha le spalle larghe ed è già di per sè afflitto da numerosi sensi di colpa, alcuni reali, altri solo presunti.
Del resto, quello stesso uomo bianco, negli ultimi decenni ha visto progressivamente cambiare il rapporto tra lui e i popoli che un tempo aveva soggiogato. Dal reverenziale miscuglio di ammirazione, timore e rispetto, si trova ora a gestire un atteggiamento ambiguo nel quale, pur prevalendo forse ancora l’ammirazione, cominciano a far capolino sentimenti meno nobili, come l’invidia, l’insofferenza e la rivendicazione che (alquanto paradossalmente) paiono crescere proporzionalmente ai suoi continui sforzi risarcitori e assistenziali.
Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
(2 – continua)
La prima puntata del racconto sugli schiavi di Franco Nofori la trovi qui:
Tratta degli schiavi: Londra fu la prima a combatterla. Ma gli africani non lo sanno
La seconda puntata è qui:
Tratta degli schiavi: come dai bianchi il commercio passò nelle mani degli arabi
La tratta degli schiavi: gli staterelli italiani tra gli ultimi ad abolirla
Tratta degli schiavi: Londra fu la prima a combatterla. Ma gli africani non lo sanno