Dal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 22 aprile 2017
Un’indagine svolta qualche anno fa in Kenya, rivelava che l’85 per cento dei giovani interrogati su chi fosse il responsabile della tratta degli schiavi dalle coste africane, rispondeva: “I britannici”. Risposta, questa, che per loro – ex sudditi coloniali della Gran Bretagna – stava a identificare, in senso esteso, gli “uomini bianchi”.
L’aspetto più singolare che emerse da questa indagine fu che la risposta ottenuta non veniva dagli indigeni incolti delle aree remote del Paese, ma da giovani con alto livello scolare e addirittura universitario. Indubbiamente le potenze europee fecero, per circa due secoli, largo uso degli schiavi africani, ma più di tutti se ne avvantaggiarono Stati Uniti e Canada, le nuove nazioni appena liberatesi dalla dominazione britannica.
I pellerossa, che si erano dimostrati guerrieri irriducibili e diedero a lungo del filo da torcere ai dominatori bianchi, non erano certo disponibili alla sottomissione totale e neppure lo erano gli indigeni dell’America meridionale che, anche se di costituzione più minuta, si rivelarono accaniti difensori della propria libertà. L’africano, invece, era uomo molto più docile anche se di struttura fisica possente e si mostrava quindi più adatto a essere ridotto in schiavitù.
La messa in schiavitù di esseri umani da parte di altri suoi simili, risale alla notte dei tempi ed è praticamente impossibile datarla con precisione. Ad essa ricorsero tutti i popoli di conquistatori: Assiri, Fenici, Greci, Egizi, Romani, ecc. Era nell’uso comune che il nemico sconfitto divenisse, per indiscutibile diritto, assoluta proprietà del vincitore. In Africa, la tratta in schiavitù delle popolazioni di colore, risale a tempi immemorabili e interessò quasi tutte le coste continentali, con particolare concentrazione su quelle atlantiche.
Su chi la praticò non esistono dubbi: si trattava dei paesi arabi affacciati sul Mediterraneo, sul Golfo Persico e sulla costa atlantica. Nel tempo, gli arabi, non furono solo gli utilizzatori di questa merce umana, ma ne divennero i fornitori per il resto del mondo, soprattutto per quei Paesi dell’ Europa e delle Americhe che stavano crescendo imperiosamente come potenze militari ed economiche ed avevano bisogno di mano d’opera a basso costo.
Gli africani catturati venivano spesso stipati in tenebrose caverne e incatenati alle pareti di corallo in attesa delle navi negriere il cui arrivo era stimato in modo molto approssimativo essendo soggetto alle mutevoli condizioni atmosferiche. I tempi potevano quindi dilatarsi di parecchie settimane e frequentemente le forti escursioni delle maree allagavano le caverne causando un’orrenda morte ai poveretti che vi erano imprigionati. In Kenya, uno di questi luoghi dell’orrore, era la zona di Shimoni nella costa sud a pochi chilometri dall’odierno confine con la Tanzania e oggi amena destinazione turistica.
Va detto che in Europa, già a partire dal Rinascimento ed dalla nascita del pensiero umanistico, ci fu sempre un forte movimento di opposizione alla tratta degli schiavi. Sentimenti, questi, che trassero ulteriore vigore dai principi di libertà, uguaglianza e fratellanza propugnati dalla Rivoluzione Francese. Ma, benché non sia noto a molti, fu proprio la Gran Bretagna che nel 1772 – quindi vent’anni prima dello scoppio della rivoluzione Francese – abolì la tratta degli schiavi su iniziativa del Lord cancelliere Mansfield che ingaggio una strenua battaglia alla Camera dei Lord, uscendone vittorioso. In un primo tempo la proibizione riguardò la sola Gran Bretagna e nell’immediato non riscosse grande successo per la mancanza di una regolamentazione chiara ed efficace che consentisse di applicarla e fu così che nel 1807 nacque lo Slave Trade Act che imponeva, al capitano della nave negriera, approdata sulle coste del Regno, una multa di 100 sterline (somma a quel tempo considerevole) per ogni schiavo importato, al quale naturalmente, veniva immediatamente restituita la libertà.
A breve distanza di tempo, altri Stati europei seguirono l’esempio del Regno Unito, timorosi di inimicarsi quella che allora era la massima potenza militare del mondo e fu così che, incoraggiata da questi consensi, nel 1808, solo un anno dopo la stesura dello Slave Trade Act, la Gran Bretagna, si mise a fare le cose sul serio e attraverso la Royal Navy, costituì una poderosa forza navale, Il West Africa Squadron, che prese a incrociare efficacemente lungo le coste occidentali africane intercettando le navi negriere che facevano rotta verso le Americhe con il loro carico di merce umana. Con questa iniziativa, la lotta alla tratta degli schiavi in Africa non fu più soltanto un fatto interno alla Gran Bretagna, ma intervenne alla fonte dell’indegno traffico umano impedendone lo svolgimento, senza curarsi di chi fosse il destinatario del commercio.
Non tutti, naturalmente, apprezzarono il deciso intervento britannico, soprattutto non lo apprezzarono i negrieri che videro i loro proventi falcidiati, ma non lo apprezzarono neppure gli Stati Uniti (soprattutto le regioni del sud) che a differenza dei loro vicini canadesi, non erano affatto disposti a rinunciare alle migliaia di braccia nere che garantivano l’esistenza delle loro sterminate piantagioni di cotone. La Gran Bretagna, dal cui dominio coloniale si erano affrancati da poco, costituiva comunque sempre un nemico troppo temibile per poterlo affrontare a viso aperto e – meno che mai – con il ricorso alle armi. Così dovettero accontentarsi di quelle poche navi negriere che raggiungevano le loro coste riuscendo ad eludere il blocco della flotta di Sua Maestà.
Questa iniziativa britannica, per quanto lodevole sul piano umanitario, non mancò tuttavia di produrre anche alcuni effetti negativi. Quando le navi negriere venivano intercettate dai veloci e bene armati vascelli della Royal Navy, non avevano molte opzioni: o arrendersi o essere affondati a cannonate e fatalmente si piegavano alla prima scelta. Ma, consci delle esose sanzioni che gli sarebbero state inflitte, ricorrevano spesso a una pratica davvero aberrante: quella di gettare a mare gli schiavi che morivano così annegati o divorati dagli squali. Fu quindi necessario inasprire la lotta contro le navi negriere che furono non solo assoggettate a più severe sanzioni, ma se catturate i loro comandanti venivano sbattuti nelle galere dell’Impero.
Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
(1 – continua)
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