Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 9 aprile 2017
L’assemblea nazionale dei toubou (NTA), una delle tribù della Libia meridionale, ha denunciato il trattato di pace firmato venerdì 31 marzo a Roma tra suoi esponenti e i capi degli awlad suleiman. L’accordo, firmato in presenza dei leader tuareg e del vicepresidente libico del Consiglio presidenziale (CP), riconosciuto dall’ONU, Abdelsalam Kajman, è stato giudicato una palese interferenza del nostro Paese negli affari interni dell’ex Jamahiriya. Chi ha partecipato ai colloqui in Italia non poteva rappresentare la comunità dei toubou, in quanto residente a Qatrun, un villaggio nel sud della Libia e loro non hanno partecipato agli scontri tra i toubou e gli awlad suleiman tra il 2011 e il 2015, che hanno avuto luogo a Obari, Sebha and Murzuk.
Il nostro ministro degli Interni Marco Minniti non lascia nulla di intentato pur di arginare il flusso migratorio proveniente dai porti libici, dove si imbarca la maggior parte dei profughi che vogliono raggiungere le nostre coste.
Ma anche questa volta, come è già successo per il Memorandum of Understanding (MoU), siglato a febbraio tra il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e il presidente del CP, Fāyez al-Sarrāj, ma poi bloccato temporaneamente in via cautelare, dalla Corte d’Appello di Tripoli il 22 marzo 2017 (http://www.africa-express.info/2017/03/28/pasticci-dellunione-europea-che-non-riesce-fermare-migranti-e-profughi/), gli sforzi di Minniti non sembrano sfociare in risultati concreti: i libici non permettono interferenze, vogliono essere i padroni della loro sorte. Ed è quanto ha sottolineato uno dei componenti dell’NTA: “Capiamo perfettamente che l’Italia ha necessità di voler controllare il flusso migratorio proveniente dalle nostre coste, ma ciò non dà il diritto alle autorità di Roma ad interferire nei nostri affari interni e ignorare i canali ufficiali che potrebbero dare una mano al governo italiano”.
Il secolare antagonismo tra awlad suleiman, toubou e tuareg si è accentuato ancora di più dopo la caduta di Gheddafi. Un primo accordo di cessate il fuoco era stato sponsorizzato dal Qatar e firmato nel novembre del 2015, ma è stato di breve durata. E nell’ottobre dello scorso anno si erano riuniti al tavolo delle trattative presso la Comunità di Sant’Egidio i rappresentanti delle tribù awlad suleiman e toubou della città di Sabha, nel sud della Libia, capoluogo della Regione desertica di Fezzan. Allora i delegati avevano firmato una dichiarazione congiunta, nella quale affermavano di voler ristabilire un dialogo. Ora anche il trattato di pace siglato pochi giorni fa è stato annullato.
A Sabha, città strategica del sud, sin dall’inizio della crisi libica sono avvenuti scontri tra le diverse componenti della popolazione. Si è così determinata una situazione di grande incertezza. La città, e soprattutto la parte meridionale del Fezzan, sono anche il principale punto di snodo dei migranti provenienti dal Sahel e dall’Africa occidentale. Ed è proprio lì che spesso tribù libiche o vari gruppi di criminali bloccano i profughi, li maltrattano, li torturano e li sottopongono a torture e violenze di ogni genere finchè non viene pagato un riscatto. Dunque è sbagliato sostenere che solo gli scafisti traggano profitto dai poveracci, costretti ad abbandonare le loro radici per guerre, conflitti interni, oppressione, carestie, fame e terrorismo.
Il confine meridionale della Libia è lungo cinquemila chilometri e le varie zone sono sotto il controllo di diverse entità, dalle varie tribù, ai gruppi armati criminali, ai contrabbandieri e ai trafficanti di uomini e altro.
Dunque per il nostro governo avere degli alleati in questa zona, disposti a controllare il confine e impedire il passaggio dei migranti, sarebbe stato di importanza vitale. In cambio sono stati promessi investimenti nel sud della nostra ex colonia per contrastare l’economia illegale. Sia sotto il governo di Gheddafi che dopo la rivoluzione, il sud della Libia è sempre stato emarginato. Molte promesse sono state fatte, ma di concreto, per sollevare la povera economia reale, ben poco, per non dire nulla è stato fatto.
Il Viminale ha anche ospitato a metà febbraio alcuni sindaci della regione di Fezzan e Minniti in persona ha presieduto l’incontro, chiedendo agli amministratori locali collaborazione nel controllo delle frontiere. I sindaci avevano approvato ogni virgola del Memorandum of Understanding, in quanto conteneva anche punti essenziali concernenti cooperazione in tema di sanità, istruzione, sviluppo economico, ricostruzione delle infrastrutture, in particolare per la zona del Fezzan. Cioè distribuiva denaro a leader e capetti.
Bisogna sottolineare che il nostro governo si era impegnato nel MoU con Serraj per quanto riguarda il controllo della frontiera meridionale, vale a dire che l’Italia dovrebbe fornire tecnologie avanzate, droni, immagini satellitari e quant’altro. Peccato che Serraj non ha alcun controllo del confine meridionale del suo Paese.
Per quanto concerne, invece, il controllo delle acque territoriali della nostra ex colonia, è ancora in corso l’addestramento della Guardia costiera libica (http://www.africa-express.info/2016/10/29/al-via-laddestramento-della-guardia-costiera-libica-importante-ruolo-dellitalia/). Attualmente diciotto ufficiali vengono formati in Italia; proseguiranno in seguito la preparazione pratica sulle sei imbarcazioni già riparate ed attualmente ormeggiate nel porto di Biserta in Tunisia.
Queste imbarcazioni sono state donate dal nostro Paese tra il 2009 e il 2010 all’allora governo Gheddafi per la lotta contro l’immigrazione “illegale” verso le nostre coste (http://www.africa-express.info/2014/01/16/navi-libiche-contro-migranti-paga-litalia/).
La guardia costiera libica sta intercettando da tempo gommoni e barconi e il trattamento che riserva ai migranti spesso non rispetta i diritti umani, per non parlare della sorte che aspetta i poveracci, che, una volta ritornati in Libia, vengono chiusi in centri di accoglienza, nell’attesa del rimpatrio forzato. La Libia non è firmataria della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo statuto dei rifugiati e pertanto un profugo, anche se minorenne, viene considerato un immigrato clandestino e illegale.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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