Franco Nofori
Mombasa, 9 aprile 2017
Sei giorni fa abbiamo riferito dell’arresto in Kenya di tre pregiudicati italiani, colpiti da mandato di cattura internazionale. Si trattava di Mario Mele (Malindi), Fulvio Leone (Mtwapa) e Stefano Poli (Kilifi). I tre, scortati dall’Interpol italiana, sono sbarcati a Roma Fiumicino nella tarda mattinata di mercoledì 5 aprile e dovranno ora rispondere degli addebiti pendenti a loro carico nelle rispettive sedi giudiziarie di competenza.
E’ quindi fallito il tentativo dei loro legali di opporsi all’estradizione a mezzo dell’istanza presentata alla Corte di Mombasa che non ha neppure potuto essere discussa in quanto, con una sorprendente e fulminea azione che ha sbalordito un po’ tutti, la polizia del Kenya ha fatto sparire gli arrestati dei quali non si è più saputo nulla fino alla loro ricomparsa nell’aeroporto romano. E’ risultato così evidente che questa mossa frettolosa aveva proprio lo scopo di vanificare il probabile blocco dell’espatrio da parte della magistratura di Mombasa.
Perché il Kenya, dopo decenni di ignavia, è diventato di colpo così solerte nel compiacere i mandati di arresto internazionali emessi dall’Italia? A questa domanda credo troveremo una risposta nei mesi a venire. Del resto, molti organi di stampa hanno dato credito al presidente Uhuru Kenyatta di mostrarsi ben determinato a voler combattere l’ingresso di pregiudicati nel proprio paese, estirpando, una volta per tutte, la diffusa corruzione che lo affligge e che, oltre ai molti negativi effetti sulla sua emancipazione economica e sociale, favorisce proprio la permanenza di questi fuggitivi sul proprio territorio.
E’ questo un intento più che giustificato visto che l’Istituzione USA “Ey Fraud Survey”, che monitorizza ogni due anni l’andamento della corruzione mondiale, nel suo ultimo rapporto ha assegnato al Kenya il poco invidiabile primato di paese più corrotto dell’Africa iscrivendolo al sesto posto nella classifica mondiale. Questo balzo ha fatto superare al Kenya paesi in cui la corruzione era un fatto endemico, come Nigeria, Somalia e Congo.
Che l’arresto e l’estradizione dei tre pregiudicati italiani sia un tangibile segno di questa volontà? Vedremo. Certo è che di connazionali colpiti da mandati di cattura emessi da nostro paese, qui ce ne sono ancora molti. Alcuni di loro per reati gravissimi che hanno comportato pene pesanti ma che, malgrado questo e almeno per ora, sono ancora qui anche se è lecito ritenere che, alla luce dei recenti arresti, non si sentano più così tranquilli, anche quelli che, ungendo potenti meccanismi, avevano ottenuto il passaporto keniota.
Perché il dichiarato intento del presidente Kenyatta di fare pulizia eliminando la corruzione, sia davvero credibile, occorrerebbe che, per cominciare, accanto ai nomi degli arrestati, comparissero anche quelli delle autorità che hanno steso davanti a loro tappeti di benvenuto, gli hanno concesso protezioni, cittadinanza e addirittura il porto d’armi.
Questo, fino ad ora non è avvenuto. E’ vero: finché c’è vita c’è speranza, ma dati i trascorsi, un po’ di scetticismo resta più che legittimo.
Franco Nofori
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